Il riscatto africano non passa dal calcio

Importanza eccessiva alle partite: si parla comunque di un gioco, non di politica

Bakolo Paul Ngoi

In questi giorni, seguendo insieme ad alcuni amici il campionato del mondo di Germania 2006, ho sentito tanti commenti sulla partecipazione delle squadre africane. Fra tutti mi ha colpito il discorso sul riscatto degli immigrati africani. Mi spiego meglio: durante le partite Italia-Ghana o Togo-Corea e ancora Angola-Portogallo, alcuni africani e molti miei amici italiani tifosi delle squadre africane hanno accordato un'importanza smisurata al fatto che una vittoria di queste squadre avrebbe riscattato gli immigrati africani e soprattutto questi avrebbero avuto una maggiore considerazione in Italia. Il discorso riguardava in modo particolare la partita Italia-Ghana.
Quello che mi sfugge, è come una vittoria possa rappresentare un riscatto. Non credo proprio che il calcio abbia questo potere anche perché se così fosse, l'exploit del Camerun ad Italia '90 avrebbe già dovuto cambiare i costumi. Non diamo al calcio quel valore che non ha. Il calcio è un gioco, non è politica. La considerazione uno se la deve guadagnare, e credo che per combattere il razzismo ci vogliano ben altri strumenti anche perché dopo un'eventuale vittoria acquisisci in notorietà ma i cretini rimangono tali e per loro sei sempre «un povero negher», un immigrato che in Italia porta delinquenza e ruba il lavoro agli italiani. Se invece sei ben voluto, perché nel corso degli anni te lo sei meritato, il calcio non sposta di una virgola la considerazione che la gente ha di te. Se invece mettiamo tutto sul piano del gioco, mi sta bene tutto. Sbaglio?
Il discorso sul riscatto va spostato sul piano culturale. Ma per rimanere nel campo calcistico aggiungerei di più. A molti non interessa se io sono originario del Congo: il fatto di avere la pelle scura mi fa diventare automaticamente del Ghana. Ricordando un episodio accaduto qualche giorno fa, alla vigilia di Italia-Ghana, qualcuno alla fermata dell'autobus mi ha anche urlato «stasera vi facciamo neri». Certo in quel momento io non ero del Congo ma l'avversario dell'Italia e soprattutto africano e per di più «negher». Certo riconosco che a volte si scherza e di certo non ho urlato al razzismo, ma mi sono posto un sacco di domande e mi sono anche divertito. Tuttavia non ho smesso di cercare di capire perché quei ragazzi africani parlavano di riscatto. Il pallone è rotondo ma non tutto quello che offre come discussioni, suggestioni, come ebbrezza e tristezza fa sempre quadrare il cerchio. Ognuno legge il calcio a modo proprio. In realtà, gli africani non hanno bisogno di una vittoria ai mondiali per riscattarsi, in quanto di argomenti per riscoprire l'orgoglio nero ne hanno da vendere, basti pensare al dominio degli atleti africani o neri nell'atletica, nel basket e via dicendo. Un conto è essere fiero di quello che fa un tuo simile, se lo ritieni tale, ma da lì a parlare di riscatto mi sembra un'esagerazione, anche perché se il Ghana avesse battuto l'Italia nulla sarebbe cambiato nella vita degli immigrati. Mi piace ricordare il bel gesto della città natale di Eto'o, camerunense del Barcellona, che si è riversata nelle strade per festeggiare la vittoria del Barça. È «un fils du pays» che viene festeggiato e se avesse vinto il Marsiglia, il Bayern o una qualsiasi squadra italiana, la festa non avrebbe perso il suo senso.
Stiamo tranquilli, godiamoci il calcio e aspettiamo di esultare alla prima vittoria di una squadra africana senza cercare rivincite là dove non esistono.

L'Africa ha già dimostrato di sapere giocare a calcio e bene anche, non lo dico io, ma lo dimostrano i numerosi giocatori che fanno la forza di molte squadre nel mondo, da Drogba a Essien, da Addebayor a Trabelsi. Il discorso sulle nazionali si sposta su un altro piano e conosciamo i problemi che affliggono il calcio africano.

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