Alison Dickens
Brian Jenkins, è uno dei massimi esperti mondiali di terrorismo. Advisor della Rand Corporation, think tank Usa specializzato in problemi della sicurezza, è autore del libro Will Terrorist Go Nuclear? (I terroristi useranno l’arma atomica?).
Dopo l’attentato dell’altro ieri le preoccupazioni per lo svolgimento dei giochi sono reali?
«Fin da Monaco 1972, la sicurezza è stata uno dei principali problemi delle Olimpiadi. Allora, attaccare le Olimpiadi, per gli attentatori, significò far entrare con la forza la loro causa nelle case di 500 milioni di persone. Gli spettatori di oggi sono molti di più. Ma mentre la paura di attacchi terroristici in occasione delle ultime Olimpiadi è stata in larga parte teorica, Pechino si trova invece ad affrontare un ampio spettro di possibili nemici. L'attentato dello Xinjiang ne è una prova».
Come giudica le contromisure adottate dai cinesi?
«Il piano per la sicurezza ha avuto inizio nel momento stesso in cui la Cina è stata scelta per ospitare i Giochi. I cinesi stessi hanno effettuato in tutti questi anni degli studi dettagliati sulle misure di sicurezza adottate alle Olimpiadi andando a ritroso fino all'edizione dei Giochi di Tokyo del 1964. Gli sforzi compiuti sono stati enormi».
Le critiche sulla «mano pesante» usata dalla Cina per quanto riguarda la sicurezza non sono mancate...
«Il problema è che non è solo un evento sportivo. Le autorità cinesi considerano le Olimpiadi come una vetrina della nazione. Malgrado se la debbano vedere ogni anno con decine di migliaia di manifestazioni di protesta in tutto il Paese, spesso anche molto violente, le autorità cinesi mostrano di avere scarsa tolleranza per il dissenso. Il regime è ancora autoritario e quindi molto preoccupato di riuscire a mantenere il controllo. E le proteste dei separatisti, o “spitlists” (divisionisti) come li chiamano i cinesi, sono considerate particolarmente pericolose».
La minaccia peggiore da dove può arrivare?
«Una delle maggiori preoccupazioni è rappresentata da Al Qaida e dai gruppi che a essa si ispirano. In Cina il riferimento è ai separatisti ed estremisti religiosi tra la popolazione musulmana uiguri della Cina occidentale. I cinesi si erano già allarmati nei primi mesi di quest'anno per le rivolte in Tibet: ci sono molti giovani tibetani arrabbiati che non condividono la moderazione del Dalai Lama e che potrebbero compiere qualche azione drammatica durante le Olimpiadi in Cina o in qualche ambasciata cinese all'estero. Inoltre, i cinesi non considerano il Falung Gong soltanto come una bizzarra setta religiosa, bensì come una minaccia pericolosamente sovversiva. I cinesi considerano una minaccia non solo ciò che noi consideriamo terrorismo vero e proprio, ma anche altre forme di terrorismo più indistinto come dimostrazioni che possano degenerare in violenza, e persino eventuali trovate pubblicitarie concepite e messe in atto solo per dar voce a delle lagnanze o per mettere in imbarazzo il governo».
Ma questi pericoli quanto sono reali?
«Queste minacce sono vere e reali. Nel gennaio 2008 le autorità cinesi hanno arrestato un gruppo munito di esplosivi e di pubblicazioni jihadiste; in marzo, il governo cinese ha riferito di un tentativo di sabotaggio su un volo della compagnia aerea China Southern Airways da parte di una donna che era riuscita a portare di nascosto due taniche di benzina a bordo. Tuttavia, i cinesi hanno fornito ben poche informazioni su questi episodi, il che porta ad essere un po' scettici».
Se lei fosse incaricato della sicurezza dei Giochi, cosa la preoccuperebbe di più?
«Penso che vorrei rivedere ogni cosa per la centesima volta, ma diventerei anche un po' filosofo, dicendomi che abbiamo fatto tutto il possibile per garantire che le Olimpiadi rimangano un evento in cui si misurano i successi atletici e non una sede di violenza politica.
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