Finalmente hanno trovato il coraggio di darne il triste annuncio. Una comunicazione discreta, forse per non ferire gli affetti di chi ancora sperava che il Pd potesse cavarsela. Così, con il dovuto tatto e la faccia di contrizione di ordinanza (quella di Bersani, che quella affranta di Fassino è troppo tragica), i democratici hanno preso due piccioni con una fava: hanno scelto per la campagna elettorale lo slogan «Oltre»; non accorgendosi però che «Oltre» è anche la testata del «periodico dell’imprenditoria funeraria e cimiteriale». Dai manifesti elettorali a quelli mortuari.
D’altronde la notizia non giunge inattesa: il Pd è un partito ridotto al lumicino. Quello che fa specie è che - anche senza sapere della curiosa coincidenza - gli stessi simpatizzanti democratici si erano accorti che la propaganda di Bersani somigliava al Requiem: la scritta sbiadita, la grafica lugubre degna di «non fiori ma opere di bene», l’immagine del segretario in un bianco-e-nero da buon trisavolo consegnato all’eternità. Insomma, una mestizia da magone: «Mancavano i soldi per il colore? - aveva scritto Giovanni sul sito Pd - Sembra un annuncio funerario!». Ecco, appunto. Oltre i creativi, oltre i comunicatori, oltre la politica c’è la vera anima del partito: una dolente vedovanza di idee e prospettive.
Certo, a ben vedere anche con Prodi non era proprio il carnevale di Rio. Lo slogan nel ’96 era «la serenità al potere». Mancavano giusto i crisantemi, forse equivocabili con i garofani di craxiana memoria. Eppure quella serenità che profumava di eterno riposo servì alla sinistra per salire all’altare di Palazzo Chigi. Come nel 2006, quando lo slogan da grattatio pallorum «E tu arrivi a fine mese?» fece tornare il Professore al governo. Vuoi vedere, si sarà detto Bersani, che per farcela occorre la scaramanzia?
Devastato dalle beghe interne, dalle primarie catastrofiche e dal lutto di un programma scomparso, il Pd ricorre all’ultima arma: Oltre magazine sostituirà l’Unità come giornale di partito. Invece degli editoriali frou frou di Concita De Gregorio sul «vento di democrazia in Egitto» (che ha portato una dittatura militare, vabbè), un bell’articolo sulla cremazione delle speranze di rovesciare Berlusconi, finite sistematicamente in fumo; invece delle vignette di Staino, un grafico sulle tecniche per issare perfettamente in spalla la cara salma del governo ombra; invece dei corsivi caustici contro il premier, un’iscrizione di impotenza politica su pregiato marmo di Carrara.
Vabbè, coincidenza e giochino fine a se stesso, d’accordo. Eppure, se digitate «oltre» su Google, trovate il sito di una linea di abbigliamento caratterizzata da «colori tenui e tessuti impalpabili»: tenui e impalpabili, come i pochi e confusi punti fermi del Pd. Oppure trovate «Oltre», disco di Claudio Baglioni con il pezzo Domani mai, sintesi perfetta del futuro che aspetta i democratici se non si daranno una mossa e una linea. Resta il fatto che, se i Ds avevano la Quercia e Prodi l’Ulivo, il Pd ha come simbolo il cipresso, albero perfetto per un partito che si presenta - parola dei fan - «rassegnato, perdente e immobile».
Quindi che dire, segretario Bersani? Si dia un tono e un volto energico e non parta già con la smorfia dello sconfitto in partenza. E rilegga a suo modo Foscolo: «Sol chi non lascia eredità di voti poca gioia ha dell’urna».
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