RISPOSTA AL CAPO DI GOOGLE

Caro signor Eric Schmidt,
(non si offenda se la chiamo «signore»; Ceo mi sembra, come dire..., troppo impersonale, e «Chief executive officer» è troppo lungo). Dicevo, caro signor Eric Schmidt, ma lo sa che mi viene voglia di seguire il suo consiglio? Una voglia pazzesca, sul serio.
Lei ha detto, glielo ricordo nel caso se lo fosse dimenticato (con tutte le cose che ha da fare sarebbe comprensibile...), rivolgendosi a circa 6mila neolaureati dell’Università della Pennsylvania: «Spegnete i computer, spegnete il cellulare, guardate la gente che vi circonda e scoprirete che gli esseri umani sono la cosa più importante nella vita». E poi ha detto: «È possibile passare un’intera vita dentro a un computer, ma la vera vita sono le persone attorno a voi, sono i vostri compagni di strada. Non di Blackberry o di iPhone. Il nostro obiettivo è tenervi sempre più attaccati, ma siete voi che sapete dov’è l’interruttore per spegnere».
Quel nostro, ovviamente, si riferisce al fatto, del tutto marginale, che lei svolge il delicatissimo compito, per l’appunto, di «Chief executive officer» (Ceo), insomma, capoccia, di Google.
Le confesso che quando, tre ore fa, ho letto di sfuggita (tramite Google, naturalmente) le sue dichiarazioni, ho pensato a un classico caso di omonimia. «Questo qui - ho pensato - non può esser il Ceo di quel Google là, quello vero. Sarà il Ceo di una ditta di trasporti, o di un’impresa di pulizie». Ma poi mi son detto: «Sì, bravo. E secondo te chiamano a fare un discorso a 6mila neolaureati di un’università che sforna a ciclo continuo Ceo e manager assortiti un tale specializzato in furgoncini e smacchiatori per moquette?». Allora ho riletto con più calma la notizia e ho capito.
Ho capito che a quelli come voi non basta vincere. E che non vi basta nemmeno stravincere. E che neppure vi accontentate di vedere l’avversario in ginocchio (sì perché il pubblico, la clientela, i target che cosa sono se non avversari da catturare, da convincere, da conquistare?). No, voi volete, anzi pretendete, che il vostro pubblico, la vostra clientela, i vostri target, affetti dalla sindrome di Stoccolma, nutrano, per voi, profonda stima, o almeno simpatia. Volete che siano persino contenti. Voi, come il pifferaio di Hamelin, dopo aver annegato nel fiume, con la sola forza del vostro piffero, i topi della concorrenza, volete riservare lo stesso trattamento a noi, i bambini del villaggio (stavo per scrivere gli scemi del villaggio). Voi siete l’esatto opposto di Maria Antonietta. La regina rispose, a chi le diceva che il popolo era rimasto senza pane: «che mangino brioches!». Voi, invece, dite al popolo, soavemente, con il sorriso sulle labbra sottili, che il pane del quale detenete il monopolio, in fondo non serve.
Non di solo pane... ricorda, mister Schmidt? Infatti non farete, stia pur certo, la stessa fine di Maria Antonietta. La vostra testa non cadrà in un cesto lordo di sangue, ma si poserà, fino alla fine dei tempi, su un cuscino imbottito di dollari.
Mi pare di avvertire, caro signor Eric Schmidt, una lieve incrinatura di commozione nella sua voce, quando dice: «Niente batte la felicità di tener per mano un nipotino quando fa i primi passi». Ecco la parola suprema, il vello d’oro degli internauti: «felicità». Cioè comunione, sintonia, partecipazione, serenità. E allora, sa che faccio? Adesso spengo tutto: il server delle agenzie di stampa, quello del programma editoriale, il Microsoft Word. Guardi, per venirle incontro, spengo anche Internet per cui, lo avrà già intuito, come pagina iniziale tengo Google (mi ci sono addirittura affezionato). Poi saluto, con un bel sorriso sulle labbra, i colleghi, i quali stanno aspettando che finisca questa lettera, e me ne vado. Non a passeggiare con il mio nipotino, che non esiste, ma a passeggiare da solo, come faceva un mio vecchio amico. Se n’è andato molti anni fa, quel mio amico.

Era un tipo un po’ strambo, anche perché di felicità non è che ne abbia avuta molta, particolare che lo irritava un po’. Senta che cosa scrisse una volta: «Là dove la solitudine finisce, comincia il mercato; e dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose».
Senza rancore.

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