Cultura e Spettacoli

Rispunta King Kong per fare uscire Hollywood dalla crisi

Il cinema americano in continuo calo di incassi attende con ansia il kolossal sul gorilla innamorato costato 207 milioni di dollari

Silvia Kramar

da New York

Come star del cinema ha un pedigree invidiabile. È apparso come protagonista al fianco di Fay Wray, Jessica Lange, Tarzan e Godzilla; ha lavorato in Usa, Giappone, India e Corea. È apparso su locandine, manifesti, gadget e magliette, acquistati in tutto il mondo. Il suo curriculum lo ha reso indimenticabile per milioni di fan: i biglietti venduti, a milioni, ne hanno fatto un re del box office. Ma King Kong non accenna a un onorevole pensionamento: le rughe, se le ha, non se le è spianate con i lifting ma le nasconde sotto il folto pelame nero, i denti bianchissimi sono ancora tutti suoi, i muscoli sono ancora più tonici e grazie agli effetti speciali che ci ha regalato la saga del Signore degli anelli, anche il ruggito è quello del giovane baritono di un tempo. Così, settantatré anni dopo il debutto a Hollywood, il gorilla più famoso del cinema sta per tornare sugli schermi americani.
Lo farà il 14 dicembre, con una responsabilità, per così dire, disumana: riportare lustro, miliardi e gioia a un cinema statunitense giunto alla fine di un anno disastroso: Hollywood nel 2005 ha perso mezzo miliardo di dollari rispetto al 2004; un drammatico otto per cento in meno che rischia di far chiudere molti posti di lavoro. Le speranze di risalita sono dunque affidate a King Kong, che dopo un lungo riposo, torna nello splendore della nuova versione diretta da Peter Jackson, lo stesso regista che due anni fa aveva fatto incetta di Oscar con la trilogia del Signore degli anelli. E che per dirigere, riscrivere e produrre la nuova love story del gorilla sull’Empire State Building ha ottenuto un cachet di venti milioni di dollari dalla Universal.
I manager dello studio californiano, che quest’anno ha portato sugli schermi pellicole piuttoste tiepide, riscontrando numerosi insuccessi di pubblico e critica, nei giorni scorsi hanno finalmente visto la versione finale del nuovo King Kong. E sono rimasti a bocca aperta: per la bellezza della popolare favola, che stavolta ha per protagonista Naomi Watts, erede del ruolo che aveva reso famosa, nel 1976, la giovane fotomodella Jessica Lange. Ma anche per via della durata di questo kolossal: King Kong spazia sullo schermo argentato per ben tre ore inserendosi di diritto nel filone degli over 180 (minuti) come Titanic e Il signore degli anelli. Peter Jackson l’ha voluto così: ha convinto la produzione a non accorciarlo assumendosi lui le spese (si dice trentadue milioni di dollari) di quei trenta minuti in più di una pellicola che in sala di montaggio non ha avuto il cuore di tagliare.
Adesso l’Universal rischia grosso: King Kong è costato 207 milioni di dollari e, vista la durata, avrà spettacoli meno frequenti e quindi meno spettatori. Senza contare che ultimamente il cinema americano, per evitare il rosso, ha dovuto vendere, in media, nel primo weekend di proiezioni un numero di biglietti equivalente al cinquanta per cento del costo della pellicola: tradotto in dollari, significa che King Kong dovrà vendere più di cento milioni di dollari nei primi due giorni di visione. Riuscirà il gorillone a fare il miracolo? «Il pubblico americano è assetato di qualcosa di straordinariamente bello» ha spiegato al New York Times Marc Schmuger, vice presidente della Universal Pictures: «Queste sono tre ore davvero indimenticabili. La storia d’amore tra King Kong e la bionda Dawn è profonda, bellissima, commovente, e poi non ho mai visto un regista lavorare al livello di Jackson. È un maestro anzi un genio». Così King Kong, nello splendore dei suoi dodici metri, con una testa comandata da un computer che lo rende incredibilmente «umano» torna a interpretare la storia del suo primo film: una favola della bella e la bestia alla quale partecipano anche gli attori Jack Black e Adrien Brody.
Il suo lungo viaggio nei camerini del cinema l’aveva portato, in oltre settant’anni, a interpretare versioni sempre diverse della strana favola: dopo il debutto del 1933, dove uno scienziato depresso andava su un’isola deserta con una bionda assistente per portare il gorilla a New York, King Kong era stato trovato nel 1976 dal barbuto paleontologo Jeff Bridges aggregato a una spedizione petrolifera. Nell’edizione giapponese diretta nel 1962 da Inoshiro Honda era invece stato scoperto dal dottor Tako, nel corso di una spedizione sanitaria sull’isola di Faroui.

Nel sequel giapponese del 1967 era diventato un robot usato per dissotterrare del materiale radioattivo. Ora anche nel prossimo Natale King Kong tornerà sul grande schermo: riuscirà col suo urlo tremendo a salvare Hollwyood?

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