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Al ristorante come a casa quando lo chef è un amico

A volte la differenza che separa il grande appassionato di cucina dallo chef professionista è sottile come un velo di croccante pastafrolla. Presso il ristorante «68 Via Savoia» (dall’evidente ubicazione, tel. 068557736) è nata, da qualche mese, una possibilità chiamata «Chef per un giorno» che mette in contatto questi due mondi. Il dilettante dei fornelli può accordarsi con i gestori, decidere un menù, invitare un minimo di 30-40 persone al ristorante e mettersi egli stesso in cucina, aiutato dallo chef e dal personale. Gli avventori pagano il menù normalmente, ma con il piacere di essere accolti e serviti dal loro amico che ambisce unicamente alla gloria culinaria, cimentandosi in una prova che richiede sudore e coraggio. «L’idea è nata per caso - spiega Fabio Cortese, televolto del Tg3 e uno dei proprietari del locale -. Quando la domenica il cuoco era assente, noi soci ci divertivamo a cucinare per i nostri amici. Così ci siamo chiesti: perché non estendere questa possibilità anche al pubblico?».
Poco per volta, sono venute fuori le idee più originali: una signora orientale ha organizzato un convito libanese, con tanto di danzatrice del ventre; un medico di origine scandinava ha preparato una cena svedese, con aringhe, panna e mirtilli in quantità; un altro professionista, con un pizzico di megalomania, ha messo su un banchetto rinascimentale, trionfante di selvaggina farcita. Il culmine del purismo gastronomico si è toccato con la cena sorrentina delle sorelle Giamundo: caciottine fresche su foglie di limone, ravioli al parmigiano in ragù di bracioline, fritto misto all’italiana (involtini di melanzane e cotolettine), cannoli alla sorrentina e torta al limone. «Abbiamo fatto venire tutti gli ingredienti dalla nostra Sorrento - spiega Valeria, che nella vita fa la psicologa - il latte fresco non pastorizzato per le caciottine, le uova dei nostri contadini, le foglie dell’albero di limone del nostro frutteto, per offrire agli amici tutti gli odori e i sapori della nostra terra. Alla fine, non si sa com’è, gli ospiti erano lievitati a una sessantina. È stato un entusiasmante tour de force anche perché il nostro menù richiedeva una realizzazione al momento».
Infatti, l’assistenza del personale rimane un supporto laterale: «Io mi limito ad aiutare - conferma lo chef Matteo Rapparelli - ma i veri protagonisti sono loro. È bello vedere le idee nuove che portano in cucina; c’è sempre qualcosa da imparare, anche per un professionista». Il lavoro preparatorio dura anche un paio di settimane, per la scelta del menù e l’acquisto degli ingredienti, che è a carico del locale. L’iniziativa è stata così apprezzata che a volte si sono aggregati anche gli habitué del locale, che pure non conoscevano personalmente l’anfitrione della serata.


Il prossimo appuntamento sarà, come sempre di lunedì, per una cena a base di «quinto quarto» con crostini di trippa, carbonara di animelle, rognoncini trifolati e polenta. Dolce ancora «non pervenuto». Ci vorrà un bello sforzo di fantasia per rimanere in tema.

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