Rita, la moralista che compra casa dal mafioso

nostro inviato a Palermo

Nel disperato tentativo di dimostrare che lui non riciclava soldi sporchi per Cosa nostra e che non era assolutamente il costruttore di riferimento dei boss Bontade e Graviano, l’imprenditore palermitano Giovanni Ienna ha giocato l’ultima carta sul tavolo della richiesta di revisione pendente in Cassazione riguardo al processo che lo vede condannato a 7 anni per mafia. Ha elencato, uno ad uno, gli appartamenti da lui edificati in vent’anni di attività e venduti a soggetti diversi a una cifra superiore rispetto a quella ufficializzata negli atti ufficiali. E puntando proprio sul «nero» prodotto avendo dichiarato solo la metà del prezzo - d’accordo con gli acquirenti - gli avvocati di Ienna (Maurizio Marino e Fabio Federico) cercheranno di dimostrare che non una lira di provenienza mafiosa è entrata nelle sue casse. E che se risultano dei quattrini in più, questi non sono d’origine criminale.
A mo’ d’esempio il costruttore cita la trattativa e l’acquisto fra il ’92 il ’94, da parte della famiglia di Rita Borsellino, sorella del giudice ucciso, europarlamentare del Pd sempre pronta a «fustigare» Berlusconi e il suo governo su qualsiasi argomento, di due appartamenti costruiti fra i quartieri di Romagnolo e Brancaccio. Stando alla ricostruzione di Ienna, la signora Borsellino e suo marito, dopo la strage di via d’Amelio, si mettono in contatto con la «Moderna Edilizia Srl» di cui Ienna è dominus indiscusso e di cui più pentiti parleranno poi quale «cassa» dei clan. «Un mese prima di essere arrestato nel luglio ’94 – scrive Ienna – il dottor Fiore mi aveva consegnato circa 200 e rotti milioni perché io qua ho le ricevute dei pagamenti». Una conferma arriva dall’interrogatorio reso da Renato Fiore, marito di Rita Borsellino, il 16 luglio 1998. Fiore spiega d’aver conosciuto Ienna «in occasione dell’acquisto dell’appartamento» avvenuto con le seguenti modalità: «Il pagamento ha due forme: una forma normale da contratto, e una forma non..., fuori contratto, al di fuori del contratto. Il pagamento è stato già effettuato nel 1994, credo, se non ricordo male. L’appartamento l’ho acquistato sulla carta, nel ’92-’93, o qualcosa del genere». Il presidente della seconda sezione penale gli chiede se venne fatto un preliminare di vendita: «Sì. Per una somma di 350, 370, una cosa del genere. L’atto definitivo non si è ancora potuto fare», spiega, anche perché, nel frattempo, Ienna viene arrestato per mafia. Insiste il presidente: «Lei ha già pagato questa somma a Ienna?». «Sì, praticamente la somma che dovevo versare - risponde il marito di Rita Borsellino - è stata tutta pagata. 350 milioni? No, c’è una parte di mutuo che deve essere portato a termine».
Quindi, chiosa il presidente, la differenza fra quanto sborsato per l’appartamento «e quanto invece risulterà o se è risultato già dal compromesso?». Abbastanza, taglia corto Fiore. «Saranno almeno 150 per appartamento. Il prezzo doveva essere intorno alle 350-370 o qualcosa del genere. Nel compromesso, invece, figurava 175-190». Interviene l’avvocato di Ienna: «Senta, e questa somma, diciamo, in nero, come l’ha pagata lei a Ienna?». E Fiore: «In contanti». Così come il «nero» delle migliaia di altri acquirenti - ribadiva Ienna - a suo dire era la riprova che i soldi che la Dda gli contestava venivano direttamente da lì. Ienna lamenta di esser diventato mafioso all’improvviso visto che fino al giorno prima era di casa in tribunale, frequentava magistrati, era in procinto di acquistare il Palermo calcio. Nessuno sospettava di lui, tantomeno Rita Borsellino. Contattata dal Giornale, dopo una sequela di reprimende sul modo di questo quotidiano di fare giornalismo, la Borsellino spiega che nel periodo in cui morì il fratello «a fatica abbiamo cercato di ricostruirci un futuro, così io e mio marito decidemmo di dare un contributo alla costruzione del futuro delle nostre figlie. Come tutti i genitori, pensammo di aiutarle nella ricerca e nell’acquisto di una casa. Sfortuna volle che, tra gli annunci immobiliari visionati, c’era quello di un appartamento di proprietà dei costruttori Ienna». Di questi costruttori, «noi, come del resto tutti i palermitani, sapevamo soltanto che erano tra i più conosciuti in città e stimati a livello pubblico al punto da venir loro concessa la costruzione del mega albergo San Paolo Palace. Io e mio marito - continua la parlamentare europea - non abbiamo mai pensato che l’essere imprenditori di successo significhi per forza essere dei delinquenti. A ogni modo, ci informammo per conoscere, con gli strumenti di un normale cittadino, eventuali procedimenti giudiziari a carico del suddetto Ienna, ma non trovammo nulla. Così procedemmo a stipulare un contratto regolarmente registrato che prevedeva da parte nostra un impegno all’acquisto sotto il rilascio di un anticipo-caparra, anche questo regolarmente registrato. Qualche tempo dopo la stipula del contratto, Ienna fu arrestato. Era il ’94. Un anno dopo le proprietà di Ienna, tra cui il palazzo dove si trova l’appartamento, vennero prima sequestrate e poi confiscate. Da quel momento, per noi, cominciò un iter burocratico abbastanza travagliato.

Mio marito è stato ascoltato dai giudici e in quell’occasione fu chiarita la sua e la nostra posizione, che è assolutamente scevra da ombre. Oggi, in quel palazzo, ci sono gli uffici della Guardia di finanza e vi vivono alcune famiglie, tra cui quella di mia figlia. Così ha deciso il tribunale».

(ha collaborato Luca Rocca)

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