Urbanistica e qualità della vita. O meglio: urbanistica è qualità della vita. Lo avevano compreso gli umanisti, nelle loro ricerche sulla città ideale; ma già al tempo di Pericle l'architetto ionico Ippodamo di Mileto, a suo modo pioniere dei «master plan», aveva studiato uno schema di polis a griglia ortogonale, disponendo le aree in base alle diverse funzioni e calcolando anche un numero massimo di residenti oltre il quale la struttura sarebbe collassata. E se il passato ha ancora qualcosa da insegnare, allora sembra giunto il momento, anche per Milano, di fare i conti con il suo essere metropoli che guarda all'Europa e al mondo. Tanto più che l'Expo è alle porte, occasione da non mancare. Così, quando lo scorso novembre l'assessore comunale allo Sviluppo del Territorio Carlo Masseroli ha proposto di riportare 700.000 abitanti nel territorio cittadino, arrivando a quota due milioni, il dibattito ha subito preso fuoco. In pochi giorni sono scesi in campo 17 docenti del Diap (Dipartimento di architettura e pianificazione) del Politecnico, che hanno dato vita al volumetto Per un'altra città. Riflessioni e proposte sull'urbanistica milanese (Maggioli), coordinato da Gabriele Pasqui, professore di Gestione urbana. È lui a spiegare: «Il libro, una raccolta di saggi in cui ciascuno degli autori affronta una tematica, nasce dall'insoddisfazione per la qualità del dibattito pubblico sulle trasformazioni urbanistiche di Milano. Vorremmo alimentare una discussione incentrata sul futuro della nostra città». La ricognizione è completa: dalla qualità dell'abitare all'ambiente, dalle infrastrutture ai servizi, dallo spazio pubblico alle grandi e piccole trasformazioni. Per Pasqui anziché cercare di catturare abitanti dall'hinterland, bisogna prima di tutto evitare che altri milanesi se ne vadano: «In questo momento la priorità è arginare la fuga dalla città, un dato costante da oltre 30 anni: la mia impressione è che ci sia un problema di offerta residenziale in grado di catturare i bisogni delle giovani generazioni. I costi sono troppo alti». E per giunta non corrispondono quasi mai a un'offerta di servizi all'altezza. «Sia chiaro, noi non ci opponiamo a priori a una logica di densificazione: il problema è capire in quali luoghi intervenire e con quale grado di accessibilità rispetto al servizio pubblico. In questo senso i Pii (programmi integrati di intervento, ndr) non hanno dato prova di grande attenzione». Si parla di servizi e viene in mente il trasporto pubblico: «Qui Milano non è messa così male, ma si è mossa tardi. Emblematico è il caso del passante, arrivato con ventanni di ritardo rispetto al progetto iniziale, quando tutte le grandi città europee avevano già sistemi di mobilità circolare molto forti». Allarghiamo lo sguardo: l'assessore ha pensato all'ondata di pendolari che ogni mattina affrontano l'odissea del viaggio verso la città
«In rapporto all'hinterland, bisognerebbe identificare alcuni luoghi che diventino nuovi attrattori, promuovendo un'immagine multipolare della regione urbana. Serve però anche un sistema di trasporti migliore, in e verso la città. Sia ben chiaro: governare Milano non è una questione che si ferma ai confini della città; d'altra parte la logica della cooperazione intercomunale fatica molto ad affermarsi: la legge regionale urbanistica permetterebbe piani di governo del territorio sovracomunali, ma in realtà nessuno ci ha mai provato».
Ma in tutto questo non c'è anche un problema di condivisione? «Senz'altro. Da un lato le amministrazioni della città e dei comuni contermini presentano le loro ipotesi senza creare veri spazi di discussione pubblica sugli indirizzi da seguire. Dall'altro, le organizzazioni dei cittadini si fermano al proprio orticello. Ognuno pensa a sé, manca uno sguardo d'insieme». Milano è dunque un grande malato? «Non la farei così dura.
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