«Ritiro immediato» Verdi e comunisti tornano alla carica

Laura Cesaretti

nostro inviato a San Martino al Campo (Perugia)

Il dossier Irak è tornato a farsi scottante per il centrosinistra. Il nuovo attentato di Nassirya rende ancora più complicata una decisione che il governo Prodi non può più rinviare anche se ieri a tarda sera il ministro Parisi si è affrettato a dire che «non cambia nulla rispetto ai piani e ai programmi di rientro dei nostri soldati che stavamo mettendo a punto».
Il morto di ieri,però, ha dato nuova linfa a quella sinistra che alza la voce reclamando una soluzione rapida e definitiva «alla Zapatero», come testimoniano le prime dichiarazioni di Rifondazione, Verdi e Pdci (ma nei giorni scorsi anche dentro la Quercia, vedi moniti dell'Unità, si è levata la protesta per un ritiro immediato e totale). Tutto questo quando, entro la fine di giugno, incombe la scadenza del decreto di finanziamento delle missioni internazionali.
La questione sarà al primo punto di un prossimo «Consiglio dei ministri ad hoc», come ha annunciato il ministro per l'Attuazione del programma, Santagata. Prima però si svolgeranno alcuni incontri delicati: quelli del titolare degli Esteri Massimo D'Alema con il governo iracheno (che potrebbe avvenire già nei prossimi giorni, anche se la Farnesina ha smentito la data del 7 giugno) e con il Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, fissato per il 12 giugno prossimo a Washington, e quello del ministro della Difesa Arturo Parisi con l'inglese Brown e l'americano Rumsfeld il prossimo 8 giugno, al vertice Nato di Bruxelles. «Fino a quando non avremo terminato questo giro diplomatico, è difficile definire i termini della questione», ha spiegato D'Alema, perché fermo restando l'impegno a ritirare il contingente italiano, «non basta dire partiamo e prenotare un aereo per tornare a casa». Anche per il ritiro «immediato» reclamato da sinistra, «ci vogliono mesi». E in ogni caso anche l'avvio di una fase di «ritiro» va finanziata: dunque a fine giugno la maggioranza è chiamata a votare compatta (anche perché la Cdl ha promesso che non farà sconti né regalerà voti) un decreto che comprende tutte le missioni, Irak e Afghanistan in testa.
Parisi e D'Alema hanno illustrato la questione in un apposito briefing a due voci ai ministri reclusi a San Martino. Dentro il conclave, raccontano, da gran parte dei membri del governo è arrivata una sostanziale adesione alla linea espressa: ritiro dall'Irak «concordato» con alleati e governanti di Bagdad, e «nei tempi tecnici» necessari, e riconferma piena della missione afghana. Da Mastella e Bonino, da sempre a favore dell'impegno umanitario anche militare dell'Italia, fino a Mussi e Pecoraro, un tempo contrari ma che ora dal governo sono approdati ad una certa realpolitik. L'unico a mettersi di traverso è stato il ministro di Rifondazione, Paolo Ferrero, che ha chiesto di ridiscutere la presenza italiana a Kabul. Dura la replica di D'Alema: «Non si ridiscute nulla, in Afghanistan stiamo operando in un quadro di piena legalità internazionale, sotto egida Onu e in accordo con Ue e Nato, dunque in un ambito completamente diverso da quello relativo all'Irak».
Ma il problema, ammettono fonti della maggioranza, è tutt'altro che risolto, perché Rifondazione ha sempre votato contro la missione a Kabul, e sta premendo in sede parlamentare perché la questione Afghanistan venga «scorporata» dal decreto di fine giugno, in modo da poter dare il suo avallo ad un finanziamento che andrà sotto l'etichetta «ritiro dall'Irak» senza dover fare marcia indietro, entrando in conflitto con la propria base pacifista. E la linea dura del Prc innesca una reazione a catena in tutta l'ala «radical» del centrosinistra. «Anche noi abbiamo mezzo partito che spinge per votare contro la missione afghana», ammette Paolo Cento dei Verdi. «Sarebbe paradossale - aggiunge - se il centrosinistra insistesse per fare esattamente quello che abbiamo sempre contestato alla Cdl, alzando le barricate», ossia tenere insieme le due missioni nello stesso decreto.

Dunque, chiedono i Verdi (e con loro il Pdci) «occorre definire chiaramente il ritiro dall'Irak, con una data certa che non vada oltre l'autunno. E se venisse fuori l'ipotesi di aumentare la presenza in Afghanistan come “compensazione” del nostro ritiro da Nassirya, la situazione diventerebbe esplosiva».

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