IL RITORNELLO DEL PARLAMENTO "CALPESTATO"

Il governo chiede la fiducia, l'opposizione insorge. «Parlamento calpestato» è il ritornello della legislatura, ormai più scontato di un treperdue all'Esselunga. Lo si è sentito anche ieri quando è stata scelta la scorciatoia istituzionale per l'approvazione del decreto legge anti crisi. Il coro della sinistra ha subito intonato il mantra: disprezzo per le Camere, scarsa discussione, insufficiente attenzione alle procedure formali. Uno sdegno che ha riempito, tramite radio Tv, i tinelli degli italiani. Non si sa, però, quanto gli italiani abbiano condiviso: le procedure formali, sia chiaro, sono sacre. Ma la pagnotta un po' di più.
Pane al pane, vino al vino: nei tinelli, si sa, tutto il resto è un po' indigesto. Ma come? C'è la crisi, bisogna agire, si chiede al governo di essere veloce. E poi quando arriva un provvedimento per aiutare imprese e famiglie lo si vuole imbrigliare nei corridoi vellutati del Palazzo? Ai parlamentari che importa, si capisce: loro tanto mica hanno il tinello, mangiano alla buvette. Ma, se è lecito domandare, non avevano già discusso il provvedimento urgente in commissione? E allora? Quante discussioni bisogna fare prima che l'approvazione di una legge si tolga il marchio d'infamia di «violazione del Parlamento»?
In Gran Bretagna, per dire, la finanziaria viene discussa e approvata in cinque giorni in una sola Camera. Cinque giorni. Da noi, invece, ogni provvedimento rischia di perdersi: pareri, contropareri, la commissione, l'aula, la pioggia di emendamenti, la riunione dei capigruppo, le schermaglie procedurali, er dibattito, la Camera, il Senato, poi di nuovo la Camera, poi di nuovo il Senato, la navetta, il ping pong, la virgola da spostare nell'articolo 25 comma 2 bis, e tanti saluti alle impellenti necessità di intervenire. Un provvedimento urgente può stare a bagnomaria per mesi. E se non è urgente che fanno? Lo mettono in coda alla discussioni delle interrogazioni presentate da Attilio Regolo e Orazio Coclite?
Tutte le volte che sento parlare di «Parlamento calpestato», a me viene il sospetto che questi abbiano la nostalgia del vecchio assalto alla diligenza, quello che Amato chiamava «l'ultimo treno per Yuma» e Pomicino «la distribuzione di vol au vent». Il governo Berlusconi ha fortunatamente abolito una volta per tutte le lungaggini della finanziaria, il percorso accidentato che produceva mostri giuridici, leggi lunghe 45 metri con articoli composti da 1.365 commi, e che permetteva ai parlamentari di nascondere dentro la confusione il codicillo che aiutava l'amico, lo stanziamento per la propria mini-lobby, l'aiutino per la cooperativa della propria città. Forse è questo che deputati e senatori rimpiangono, altro che «disprezzo per le Camere»... Magari ce lo siamo dimenticati, ma nell'ultima finanziaria-mostro approvata in Italia, quella del dicembre 2007, c'era dentro di tutto, dalle agevolazioni fiscali per le marionette e i burattini ai due milioni di euro per fare a Foggia una sede distaccata dell'agenzia alimentare, dagli aiuti per asini, muli e bardotti ai finanziamenti per l'acquisto di idrovolanti...
Certo: chiedere la fiducia (fra l'altro: per la 23ª volta... ) non è il massimo. Ma è sempre meglio che finire di nuovo in balìa di queste pratiche tribali, con i parlamentari assetati di denari che tendono l'agguato in cima al canyon di Montecitorio con in mano l'ascia dell'emendamento. Il provvedimento deve passare? Va bene, ma in cambio ci aggiungi i soldi per i miei burattini. Ma vi pare? E allora, prima di intonare per l'ennesima volta il ritornello del Parlamento calpestato nelle sue legittime esigenze, bisognerebbe chiedersi se non è il Parlamento che ormai calpesta le legittime esigenze dei cittadini. Bisognerebbe chiedersi se i regolamenti e le procedure, le due Camere perfettamente identiche, le lungaggini e i tempi morti non sono ormai fuori dal tempo, in un mondo in cui persino le parole corrono più veloci.

Per trasferire le catastrofi economiche da un angolo all'altro del pianeta basta un attimo: è possibile che per correre ai rimedi seguendo l'iter parlamentare ci vogliano dei mesi? Se si vuole davvero il bene del Paese, e non di una lobby o dell'amico che vende gli idrovolanti, forse sarebbe il caso di porsi in fretta questa domanda. Perché la fiducia, come diceva una vecchia réclame, è una cosa seria. Ma anche la crisi non scherza per nulla.

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