da Roma
In tre ore scarse di lavoro ha sbrogliato otto udienze di diritto societario e una di fallimentare, presiedendo la prima sezione civile della Corte di Cassazione. Niente male per un giudice di 77 anni che volevano far passare per un «ammazza-sentenze». Dopo sei anni di «pausa forzata» Corrado Carnevale ha indossato di nuovo la toga, e - smaltito un pizzico demozione - ha potuto finalmente dire il suo: «Dove eravamo rimasti?».
Eravamo rimasti a un magistrato-fenomeno costretto alle dimissioni con laccusa più infamante: cancellare sentenze per conto della mafia. Ieri Corrado Carnevale ha salito i quattro piani del palazzo di giustizia di piazza Cavour ed è tornato a fare il suo mestiere: «Linattività non ha ammazzato la mia efficienza - ha detto raggiante -. Non sono arrugginito: ho lasciato i colleghi basiti per la mia rapidità. Non voglio fare record, ma ho unesperienza che pochi possono vantare».
Primo in Italia nel concorso per uditore giudiziario a 23 anni, consigliere di Cassazione nel 1972, nel 1985 Carnevale era già il più giovane presidente della Corte Suprema. Una carriera da record, stroncata da un incubo giudiziario prolungato da un braccio di ferro con il Consiglio superiore della magistratura, che si opponeva al suo ritorno. Ieri cera la fila di chi voleva congratularsi per il rientro. I colleghi lo hanno accolto «con simpatia», ha raccontato Sandro Criscuolo, presidente titolare della prima sezione civile. Sono passati a salutarlo anche due presidenti emeriti della Consulta, Lo Porto e Granata.
Carnevale resterà in servizio per sei anni, sei mesi e ventiquattro giorni, tanti quanti ne ha persi per difendersi dalle accuse. Lui assicurava: «Quelle sentenze non le ammazzo io, sono nate morte». Abuso dei collaboratori di giustizia, interpretazione estensiva delle fattispecie criminali, Carnevale applicava alla lettera il diritto penale, ma a molti non andavano giù quelle sue bacchettate. Mascariato alla fine degli anni Ottanta dalle prime ondate della vulgata giustizialista, nel 1992 finì addirittura in una delle «Canzoni damore» di Francesco De Gregori, che si rammaricava di un Paese che confondeva «il diritto col Carnevale». Lanno dopo ricevette dalla Procura di Palermo un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Un esercito di pentiti era disposto a confermare che il presidente di Cassazione non era solo scrupoloso e garantista. L8 giugno 2000 fu assolto in primo grado perché limpianto accusatorio si reggeva su elementi insufficienti, testi inattendibili, dichiarazioni contraddittorie, mentre si stigmatizzavano le deposizioni dei pentiti, che avevano parlato de relato. In appello si ribaltò il verdetto: 6 anni di carcere. Lincubo finì il 30 ottobre 2002, con lassoluzione con formula piena in Cassazione.
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