Il dandysmo come il romanzo viene dato continuamente per morto e come il romanzo sembra vivere una lunghissima e felicissima agonia. Basta dare unocchiata al formidabile sito The Sartorialist, zeppo di eccentrici contemporanei fotografati in tutta la loro vanità nelle strade delle grandi metropoli. I funerali del dandysmo classico, modellato sulle gesta di George Brummell, vennero celebrati nel 1830 insieme a quelli di Giorgio IV dInghilterra. Eppure il dandy più famoso, Oscar Wilde, doveva ancora nascere, lepicentro del fenomeno doveva ancora spostarsi da Londra a Parigi e tutta la faccenda sembrava riguardare solo la moda, e non anche la letteratura. È una storia di reincarnazioni, quindi, quella raccontata da Giuseppe Scaraffia nel suo Dizionario del dandy (Sellerio, pagg. 197, euro 10), in libreria da giovedì, edizione accresciuta e aggiornata di unopera uscita per Laterza nellormai lontano 1981.
Ma perché tornare sullargomento, che cosa è cambiato nel frattempo? «Si viveva ancora sotto il dominio dellideologia» risponde lautore. «Legocentrismo, lo scetticismo, il culto ascetico del lusso erano assolutamente inattuali, oggi invece è diventato chiaro il legame tra il dandy e la folla che detesta. Il dandy nasce dalla società di massa come Venere dallonda, ma cerca continuamente di eludere il suo abbraccio banalizzante. È diventato un guerrigliero dello stile, impegnato in una lotta impari ma irrinunciabile».
Insomma ci troviamo di fronte a un narciso in perpetua controtendenza che, ad esempio, si affida ai sarti anziché agli stilisti siccome lunica griffe che può concepire è la propria firma. Il più delle volte è una firma nota: non tutti gli scrittori sono dandy ma quasi tutti i dandy scrivono libri. Forse perché da alcuni secoli a questa parte scrivere e far niente sono considerati sinonimi mentre dandysmo e lavoro appartengono alla schiera dei contrari. Anche dandy e donna sono parole che tendono a respingersi, come spiega la lettera D del Dizionario: «La prima notte di matrimonio, Giorgio IV, il corpulento allievo di Brummell, la trascorse bevendo in compagnia dei dandies, abbandonando a se stessa la romantica consorte, Caroline de Brunswick». Ci vuole tutta l'erudizione di Scaraffia per scovare un paio di dandy-donne: Coco Chanel oppure Nancy Cunard, lamante di Aragon. Entrambe defunte da quel dì. Per tornare fra i viventi è indispensabile rituffarsi nel genere maschile. «Bisogna distinguere tra la scuola wildiana, più fastosa e colorata, e la scuola brummelliana-baudelairiana, incline alla sobrietà. Tra i primi includerei un artista come Luigi Ontani, un economista come Oscar Giannino e uno scrittore come Jonathan Littell. Tra i secondi Vittorio Sgarbi, Giovanni Gastel e Alain Elkann». E Tom Wolfe col suo perenne abito bianco dove lo mettiamo? «In un filone intermedio, insieme a Philippe Daverio».
Scaraffia cita anche personaggi il cui dandysmo ci era sfuggito: Jeremy Irons, John Malkovich, Lucien Freud... Non siamo noi a essere diventati ciechi, sono loro che si sono ben mimetizzati: «L'eleganza moderna sopravvive per lo più in clandestinità. Come diceva Barthes, il dandy dei nostri giorni vuole essere riconosciuto solo da un occhio esperto come il suo».
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