Il ritorno galattico di Tom Wolfe, dimenticato di lusso

Ristampato per gli ottant’anni dell’autore il romanzo "La stoffa giusta". Ma troppi titoli ancora mancano...

Il ritorno galattico di Tom Wolfe, dimenticato di lusso

Per festeggiare gli ottant’anni di Tom Wolfe, Mondadori pubblica, dopo anni di assenza,La stoffa giusta (Mondadori, pagg. 440, euro 10). Va a fare compagnia ad altri tre romanzi (Il falo delle vanità, Un uomo vero, Io sono Charlotte Simmons, tutti Mondadori) e a un pugno di saggi pubblicati da editori diversi (Mondadori, Castelvecchi, Bompiani, Allemandi) tra cui c’è anche il celeberrimo Radical chic (espressione inventata da Wolfe per descrivere la sinistra intellettuale e danarosa affascinata dalla violenza delle Pantere Nere). Pochissimo per un scrittore così originale da scontare un doppio pregiudizio. Culturale, perché troppo conservatore per gli standard nostrani. Ed editoriale, perché ritenuto, a torto, troppo «americano» per i lettori italiani.
Nemico delle avanguardie artistiche inconsistenti, scettico sulla fede cieca nella Scienza, critico verso i dogmi progressisti, ammiratore dei vantaggi offerti dal capitalismo, convinto della grandezza dell’America, Wolfe fa classe a sé. Perché le caratteristiche di cui sopra si accompagnano a un acceso interesse per le novità culturalmente rilevanti, mai rifiutate per partito preso e sempre ritratte con ironia ma anche con precisione assoluta a partire dagli anni Sessanta. Dal mondo fricchettone di Ken Kesey (entusiasta adepto dell’acido lisergico e autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo) all’avanzata implacabile delle neuroscienze, passando per le ambiguità del multiculturalismo, non c’è tema rilevante sul quale Wolfe non si sia esercitato (quasi sempre per primo o giù di lì) con perizia eccezionale. Wolfe, già che c’era, ha inventato anche uno stile, insieme con pesi massimi come Gay Talese, Truman Capote, Norman Mailer: il cosiddetto New Journalism, capace di coniugare l’accuratezza del reportage con lo stile della grande letteratura. Ken Kesey dopo aver letto The Electric Kool-Aid Acid Test, in cui Wolfe lo ritrae con un certo sarcasmo, ammise sportivamente che non solo il libro era riuscito ma anche che le vicende narrate erano accurate al 99 per cento. Peccato che attualmente il destino di Wolfe, dalle nostre parti, sia quello di scrittore semi-inedito, poiché mancano all’appello fior di capolavori come quello appena citato.
La stoffa giusta però è un gran bel regalo per gli ammiratori italiani, forse più numerosi di quanto si creda nei corridoi degli editori. Qui c’è il narratore al suo meglio, anche se alle prese con un tema meno scottante rispetto agli altri romanzi che raccontano, spesso con lustri di anticipo, l’integrazione razziale traballante, il politicamente corretto, le speculazioni finanziarie e così via. Nella Stoffa giusta, Wolfe ricostruisce la storia dei primi astronauti inviati nello spazio dagli Stati Uniti sullo sfondo della Guerra Fredda e della paranoia scatenata dai successi dello Sputnik sovietico. È un romanzo, certamente. Ma Wolfe lo ha scritto dopo decine di incontri con piloti e tecnici coinvolti nei programmi della Nasa. Le prime interviste risalgono al 1972. La stoffa giusta è uscito nel 1979. Comprensibile, quindi, il gusto per il dettaglio, quasi maniacale ma non stucchevole perché al servizio di un «disegno intelligente» dichiarato nella prefazione all’edizione del 1983, inclusa nel volume Mondadori. Scrive Wolfe: «La Stoffa giusta divenne il racconto del perché gli uomini si trovarono disposti - disposti?... felicissimi! - ad accollarsi simili rischi (all’inizio degli anni Sessanta un pilota in carriera della Marina aveva il 23 per cento di probabilità di morire in un incidente, ndr), in un’epoca che il mondo letterario aveva da tempo descritto come l’età dell’antieroe. Ecco l’enigma psicologico che mi ha stimolato a scrivere questo libro». I temi della Stoffa giusta, quindi, sono l’audacia, il coraggio, l’eroismo. Temi considerati inavvicinabili perché retorici da molti autori del Novecento. Wolfe aggira il rischio e scodella un romanzo bellissimo, che piacerà anche a chi non interessa l’epopea che condurrà l’uomo sulla Luna. Un antecedente letterario? Uno solo è molto evidente, ed è quello più scontato, oltre che dichiarato: Antoine de Saint-Exupéry.

Anche se poi è inevitabile pensare a un’italiana a New York che nel 1970 scrisse un paio di volumi, Se il Sole muore e Quel giorno sulla Luna, per certi versi simili: Oriana Fallaci. Anche lei, come Tom Wolfe, aveva la stoffa giusta.

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