il ritorno

A 27 anni dallo scioglimento, la band simbolo del rock duro si riformerà a fine novembre per un unico concerto (già esaurito) alla O2 Arena di Londra

L’uno, Robert Plant da Birmingham, è alto e massiccio, tutto muscoli e boccoli biondi. L’altro, Jimmy Page del Middlesex, ha corvini i capelli e «uno sguardo febbrile e miserabile, che rende perverse le quindicenni», come attestò di lui la scrittrice Ellen Sander. L’uno frequenta i miti dei celti e dei vichinghi, è un eroe da chanson de geste trapiantato tra i furori del rock. L’altro attribuisce al demonio la portentosa vitalità del suo corpo malaticcio, e dell’arcangelo ribelle si considera il plenipotenziario, riattando la vecchia bubbola del rock satanico. Dall’equilibrio tra i due opposti scaturì quarant’anni addietro la leggenda dei Led Zeppelin, scioltisi nell’80 - dopo la morte del batterista John Bonham detto Bonzo, ucciso da quaranta bicchieri di vodka - e ora in procinto di ricompattarsi: per un solo concerto, il 26 novembre, alla 02 Arena di Londra, previa pubblicazione, il 13, di Mothership, un’antologia di vecchi successi. Seguita il 20 dalla colonna sonora del film-concerto The song remains the same, anno ’76, e più oltre da un divudì dal vivo. Nel ruolo di Bonham ci sarà il figlio Jason, al basso tornerà John Paul Jones.
Ne è passata di acqua, tra le rive del Tamigi, dacché la band battezzò con un primo album, appunto Led Zeppelin, il suo hard rock a cavallo tra vapori sulfurei, trasparenze fiabesche, echi antichi e clangori futuribili. Page aveva eletto a modelli Paganini, che «aveva ottenuto dal diavolo il proprio genio», Faust, che Mefistofele avrebbe sedotto suonando il violino, e il bluesman Robert Johnson, che aveva cantato «Salve Satana, è l’ora d’andare». Aveva imparato a suonare la chitarra con l’arco, traendone ululati e borborigmi infernali, entrò negli Yardbirds e intanto viveva su un barcone, dove Satana - si disse - andò a trovarlo porgendogli un contratto in caratteri runici e una penna intinta nel sangue. Lui firmò e anni dopo abitò, tramutandola in tempio, la casa che era stata di Aleister Crowley, satanista principe o supremo imbroglione, come obbiettano gli scettici.
L’incontro con Plant, Bonham e Jones fece nascere i Led Zeppelin, il cui nome ricalcò, emblematicamente, una filastrocca bellica, «Vola Zeppelin, brucia l’Inghilterra». In questo spirito dannato s’inserì, senza attriti, la vocazione escatologica di Plant e il successo arrivò in fretta, col rituale contorno di droghe, sbronze, sesso selvaggio, camere d’albergo sfasciate e assortite perversioni. L’album d’esordio, registrato nel ’68, spaziò tra blues, rock, folk e suoni d’acciaio, il successivo reiterò la ricetta con qualche lenocinio commerciale in più. Il terzo la ampliò con intrusioni acustiche e atmosfere celtiche, il quarto aggiunse effusioni mistiche e rimembranze scandinave, concludendo la sfilata dei dischi intitolati al nome del gruppo seguito dal numero di serie.
Ormai, ed è il 1973, il nome della band corre per il pianeta, aureolato dal mito. C’è chi li preferisce ai Rolling Stones, chi li definisce «the biggest band of the world», chi li ritiene superati - deflagra ormai la «rivoluzione» punk - senza tuttavia poterne disconoscere il successo. Loro usano l’incanto dell’ambiguità fino a farne un fascinosissimo ossimoro: viaggiano, si direbbe, al bivio tra Wagner e Céline, archi e sintetizzatori si fronteggiano nei lunghi brani di House of the holy, melodie parasinfoniche e modalità orientali in Physical graffiti, melanconica frustrazione - i lunghi soggiorni all’estero, le famiglie lontane - e torbido cachinno in Presence. E tramontano i Settanta, portando curiosità nuove: qua e là la tavolozza dei Led Zeppelin s’accende di colori caraibici, In through the out door, nel ’79, s’assommano vampate tropicali e tentativi progressive, la musica della band parrebbe cercare inconsuete finezze. Sennonché la morte di Bonzo conclude il sogno. Il batterista non sarà rimpiazzato, lo «Zeppelin di piombo» precipita - parrebbe - definitivamente. I tre superstiti si cimentano in avventure solistiche e rapidi conati, Plant si esibisce in un’osteria di Stourbridge con un nuovo gruppo, Page si eclissa e poi riappare, scheletrito e clownesco, suonando Chopin in un concerto benefico. E anche Jones riemerge qua e là, in gruppi o dischi altrui.


Un paio di eventi - il più famoso è il Live Aid dell’85 - riuniscono i tre in fulminei episodi, Plant e Page si cimentano in qualche progetto a due, e ora questa rentrée repentina, annunciata lo scorso giugno, tenta di strappare il mito alla certezza della storia, per restituirlo all’effimero della cronaca.

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