Ritratto laico di un presidente che sognava di diventare un normalissimo oculista

Ritratto laico di un presidente che sognava di diventare un normalissimo oculista

Da Damasco - Il destino è stato imprevedibile quanto sorprendente anche per lui. Quando ancora era un bambino Bashar Al Assad (nato l’11 settembre 1965 a Damasco) sognava di diventare un normalissimo oculista. Svolse gli studi primari e secondari all’Istituto Hurriyya a Damasco, poi proseguì all’Università della capitale siriana per infine perfezionarsi in oftalmologia all’ospedale militare Tishrin. Il rigetto per la politica in generale lo portò a Londra all’età di 27 anni, era il 1992, per continuare la specializzazione. Una scelta, quella di vivere in un Paese occidentale, difficile da accettare per il padre Hafez che nella sua vita, per coerenza, non si recò mai negli Stati Uniti per incontrare i presidenti americani (sceglieva Paesi neutri come la Svizzera). Eppure destino volle che proprio in Inghilterra incontrò la donna più importante della sua vita e che più avanti si rivelò la più fedele delle combattenti: Asma Al Akhras. Appartenente a una famiglia sunnita originaria di Homs, Asma è nata e vissuta nella capitale londinese dove ha frequentato la scuola anglicana, si è laureata in informatica nel 1996 nel prestigioso King’s College, ed infine ha svolto l’attività di analista finanziaria (prima alla Deutsche Bank poi alla JP Morgan). Pur avendo una vita tutta in discesa, Asma decise di seguire il futuro marito a Damasco. I due si sposarono quando si furono già stabiliti in terra siriana, nel 2001, e hanno avuto tre figli.

Alla fine degli anni Ottanta Hafez Al Assad, leader indiscusso del partito Ba’th e presidente della Repubblica Araba Siriana, ritenendo che la successione “dinastica” si sarebbe dovuta svolgere nella continuità familistica, associò il primogenito Basil, fratello di Bashar, agli affari di Stato. Ingegnere, tenente colonnello dei paracadutisti, membro della Guardia presidenziale e capo della sicurezza presidenziale, il figlio maggiore Basil aveva tutte le carte per assumere le redini del Paese. Ma il 21 gennaio 1994 morì a trentadue anni in un incidente automobilistico sul percorso per l’aeroporto di Damasco. Da quel giorno cambiò tutto. Bashar al Assad che nel frattempo studiava ancora a Londra, seppur abituato ad uno stile di vita borghese e disincantato, fu richiamato in patria dal padre. Tornò senza battere ciglio accompagnato dalla fidanzata, Asma, per prepararsi alla successione. Hafez gli riservò così una preparazione militare accelerata. Entrò come capitano del corpo medico dell’esercito, diventò capitano nell’Accademia militare di Homs, classificandosi al primo posto. L’ascesa ai vertici, favorita chiaramente dal padre, fu rapidissima. Entrò nei ranghi delle forze corazzate (17 novembre 1994), fu nominato maggiore della Guardia presidenziale (gennaio 1995), si formò alla scuola di Stato maggiore (1998) e infine fu proclamato colonnello (1999). Arrivarono poi i primi incarichi politici e di governo: prima subentrò al fratello nella carica di presidente della Società di computer, successivamente gli fu delegato il Libano – allora soggetto alle ingerenze siriane - per l’elezione del presidente Lahud.

Il 10 giugno del 2000 segnò la fine di un’epoca. Un attacco di cuore assalì il presidente Hafez Al Assad che morì sul colpo, e da quel giorno iniziò l’era di Bashar soprannominato anche lui, il Leone di Damasco. In eredità, il nuovo capo di Stato siriano ricevette un Paese prospero sul piano economico ma soprattutto giovane su quello demografico (secondo i dati forniti dall’Ufficio centrale siriano di statistica nel 2002 il 52,7 per cento ha meno di vent’anni; il 43,7 è nella classe d’età 20.64; e soltanto il 3,6 ha oltre 65 anni). E come in molti altri Paesi arabi il livello d’istruzione era molto elevato e spesso non coincideva con le prospettive professionali dei neo-laureati. Sul piano internazionale invece la Siria era meno isolata che negli anni Settanta e Ottanta tanto che nel 2003 entrò a far parte dei membri non permanenti del Consiglio delle Nazioni Unite senza obiezioni da parte di Washington.

I primi anni di governo di Bashar Al Assad si articolarono su un unico caposaldo: quello della riconciliazione. Riconciliazione tra la nuova squadra presidenziale e la società civile (apertura dei club intellettuali), riconciliazione tra le classi sociali (riforme economiche di stampa socialista, rafforzamento dell’esercito), riconciliazione della comunità etnico-religiose in Siria (apertura ai curdi siriani, costruzione di moschee e chiese cristiane), riconciliazione con i popoli della regione mediorientale (ritiro dal Libano, opposizione alla guerra in Iraq).

Eppure bastarono pochi anni per diventare persona non grata alle cancellerie occidentali. L’11 novembre 2004 il congresso statunitense votò una risoluzione voluta da George W.Bush detta “Syria Accountability Act” che autorizzava il presidente ad applicare le sanzioni economiche e diplomatiche contro la Siria, accusata di sostenere il terrorismo, di sviluppare armi di distruzione di massa e di ostacolare la stabilità dell’Iraq (da qualche anno in guerra con l’esercito nordamericano). Poi nel 2005, con la commissione Mehlis, il governo siriano dovette affrontare l’opposizione del mondo intero che lo accusava dell’assassinio di Rafik Hariri, ex primo ministro libanese legato agli interessi sauditi e americani. Ma fu soltanto il 20 aprile del 2011 che gli Stati Uniti estesero le sanzioni economiche bloccando i beni degli esponenti bathisti siriani compresi quelli del presidente Assad. In quegli anni si interruppero definitivamente i rapporti diplomatici tra la Repubblica Araba Siriana e l’Occidente, che richiamò tutti i suoi ambasciatori.

Da uomo di governo discreto, Bashar Al Assad, si è trasformato in carismatico condottiero. Inizialmente sostenuto dall’esercito e dai membri del partito che lo rielessero nel giugno del 2005 durante il decimo congresso regionale, e poi progressivamente dal popolo siriano che in piena guerra, nel luglio del 2014, lo ha eletto per un terzo mandato con l’88,7% dei suffragi espressi, che rappresentano il 65% dell’elettorato, il “Leone di Damasco” non ha mai ceduto di fronte alle pressioni mediatiche e diplomatiche.

Recentemente in un’intervista rilasciata ai media russi si è detto a favore “del dialogo in Siria fino a raggiungere un consenso” passando però attraverso la “sconfitta dei terroristi”, e ha concluso: “Un leader assume il potere con il consenso del popolo attraverso le elezioni e se lascia lo fa su richiesta del popolo, non per decisione degli Stati Uniti, del Consiglio di sicurezza dell’Onu, della Conferenza di Ginevra o del comunicato di Ginevra”.

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