Politica

Ritrovato il nonno adottivo: «Ci ha traditi»

Cristiano Gatti

da Spirano (Bergamo)

Ripensandoci bene, non era il genere di nonno che avevano sognato. Non che pretendessero chissà chi e chissà cosa: sarebbe bastato un nonno qualunque, il solito nonno, dolce e brontolone, tanto saggio e un po' bambino. Invece, l'idillio è durato molto poco: giusto un paio di settimane. Sì, non di più. Ripensandoci bene, è successo tutto in un modo così strano...
Settembre dell'anno scorso. Dopo il clamore festaiolo dell'adozione, in un tripudio di telecamere e ciglia umide (la tv olandese ci costruisce sopra una specie di teleromanzo), comincia la vita della nuova famiglia: il nonno adottato al piano terra, sessanta metri quadrati che il papà - muratore in pensione - sta ristrutturando, e sopra i Riva, con la madre d'origine polacca e i due ragazzi liceali. Mateusz, che ha 19 anni e sta affrontando la maturità scientifica a Caravaggio, lo ricorda bene quello strano giorno, un paio di settimane dopo il nuovo arrivo. «Praticamente si comincia con le discussioni. Lui critica noi figli, ma usando termini brutti, come “contadini e incivili”. Ecco, mi suona subito un po' strano che un professore così colto possa usare tanto disprezzo: non nei nostri confronti, ma con i contadini. Ricordo un'altra volta: la mamma torna con mezz'ora di ritardo dalla scuola, per via di riunioni e colloqui, lui monta su tutte le furie. E via con i soliti epiteti, a base di “contadini”. Sempre con questi contadini. Poi non parliamo del pranzo di Natale...».
Mateusz non è un ragazzo acido e polemico: è calmo, mansueto, riflessivo. Ma questo non gli impedisce di raccontare la verità: «Mia madre lavora due giorni per preparare il pranzo. Caviale, salmone, ma anche anatra e vitello. Ci tiene, vuole che sia un bel Natale di famiglia. Ma lui arriva e smonta tutto: dice che non sopporta il pesce. E poi il solito paragone: è un pranzo da plebei, sbotta sprezzante. Mia madre ci resta malissimo. Io non sopporto di vederla umiliata: mi alzo e me ne vado. Altro che bel Natale...».
Dagmara, la sorella più piccola di due anni, non ha ricordi più dolci. «I nonni, di solito, ti inondano con i loro ricordi. Lui no: si fermava a quelli di gioventù, poi scantonava. No, non posso dire di essermi trovata a fianco un nonno. Una volta sola, ancora all'inizio dell'anno scolastico, mi aiuta in una versione di latino. Però non si ripeterà più. Anche perché lui parte subito per la tangente, allarga il discorso, fa citazioni, critica i nostri programmi, sfoggia cultura. Non si ferma più. Io, purtroppo, la versione devo finirla. Il problema è che non credo gli sia mai interessato qualcosa di noi “nipoti”: mai che ci abbia chiesto come va, come non va. Si poteva parlare solo di lui...».
La mamma, signora Marlena, parla di un nonno dispotico, intollerante, attaccato morbosamente alle sue gonne - «non ero libera nemmeno di andare in bagno» -, e infinitamente egocentrico. Eppure... «Eppure l'abbiamo sempre sopportato benissimo. Abbiamo sempre pensato che una persona così anziana, trapiantata in un'altra casa e in un'altra realtà, forzatamente abbia dei problemi. Tutti gli anziani possono risultare pesanti. Tocca ai più giovani comprendere».
La famiglia Riva sopporta e comprende per lunghi mesi. Paga molti conti, anche. Il nonno che aveva promesso di versare 500 euro al mese, davanti alle telecamere accese, praticamente paga una volta sola. Poi comincia a chiedere pazienza. Anzi, anche un aiuto: deve sistemare i denti. I Riva pagano il dentista. Più avanti, lo portano in ospedale per un delicato intervento urologico. Tutti i giorni, avanti e indietro tra Spirano e Bergamo, non tantissimi chilometri, ma un inferno di traffico. Insomma, un impegno. Ma per il nonno, questo nonno fortemente voluto dopo aver ascoltato il suo accorato appello in televisione, nessuno si risparmia. In questi luoghi da «Albero degli zoccoli», uno dei pochi valori ancora sopravvissuti è l'affetto per gli anziani.
Lui, pedante e invadente più di un nonno vero, passa le giornate leggendo il giornale, guardando la televisione, criticando la famiglia adottiva e i tempi moderni. È uno sterminio di citazioni dotte. Con i nipoti, s'è visto, non scocca mai la scintilla della reciproca complicità. Con il capofamiglia, si può parlare di veri e propri attriti. Il signor Elio ha qualche attenuante: da un anno combatte con un tumore al volto, che gli è già costato un occhio. «Anche per questo - racconta adesso - dopo una serie di lutti familiari e dopo la mia malattia, avevo deciso di accettare la proposta di adottare il nonno. Mia moglie aveva bisogno di un appoggio morale, che le restituisse un po' di sicurezza e di serenità. Vai a pensare che finisse così...».
Finisce col nonno che sparisce ai primi di maggio, sostenendo di volersi godere un po' la casa di Roma. Qualche telefonata ambigua, molti misteri. E poi quella chiamata da Milano, il 4 giugno, per convocare la signora Marlena: lei ci va, gli chiede di tornare a casa, lui dice che vuole starsene ancora un po' solo, però ci tiene a saldare i debiti, ecco qua due assegni. Regolare: rubati ad un'altra famiglia, durante una permanenza nell'Alessandrino. E scoperti. Ripensando a quel giorno, la signora Marlena prova rabbia: «Se lo incontrassi di nuovo, gli chiederei solo questo: era liberissimo sin dal primo giorno di andarsene, perché infierire con quella chiamata e quegli assegni? È l'umiliazione più triste, non so darmi pace».
Ci vorrà del tempo, perché la pace torni in questa famiglia d'estrema provincia, che magari qualcuno dipingerà come un'accozzaglia di superficialoni un po' babbei, ma che in realtà deve solo imputarsi un peccato di generosità. Ce ne fossero. Il ragazzo, Mateusz, dimostra di aver tratto molto dalla strana lezione del nonno professore: «È una brutta esperienza. Punto. Ma guai tirare conclusioni generali. Io non divento più cinico e più diffidente solo perché è andata male. Certo - sorride con tenera ironia -, lo ammetto: per un altro nonno adottato non sono ancora pronto...». Ascoltando la sua mamma, umiliata e offesa per un semplice slancio di altruismo, si capisce da chi abbia preso il ragazzo: «Nonno Giorgio non ci ha rubato soldi. I soldi sono il meno. La cosa più imperdonabile è che ha rubato a questa casa la fiducia nel prossimo. Ma supereremo, con calma. Adesso dobbiamo pensare a mio marito, che ha bisogno di tutto il nostro affetto...».
Signora, bisognerà affrontare anche i sorrisini di chi la sa sempre più lunga, di quelli del ramo «come si fa a prendere in casa uno sconosciuto»...
«Non ho nulla di cui vergognarmi. Non sono pentita della mia generosità. Io insegno religione, ho fatto la volontaria alla Croce Rossa per anni: continuerò allo stesso modo.

Il bene si semina, e basta».
Cristiano Gatti

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