La rivincita del biglietto chic nell’era della mail e dell’sms

La rivincita del biglietto chic nell’era della mail e dell’sms

Vietato andare in bianco. Sarà anche uno dei colori più chic, ma quando si tratta di biglietti da visita il bianco candido è out. Breat Easton Ellis docet. In un indimenticabile capitolo di American Psycho, Patrick Bateman sfida gli amici con un nuovo cartoncino «bianco osso» ma è subito umiliato a colpi di biglietti «color guscio d’uovo» e «bianco nembo con caratteri a rilievo». Assurde (s)manie Anni ’80? Niente affatto, perché nell’epoca della mail biglietti da visita e cartoncini d’invito tornano ad essere un must (soprattutto fra i vip), e continuano a raccontare chi siamo. Così, chi segue l’etichetta opterà sempre per sfumature calde come l’avorio. Fra una selva di freddi biglietti a stampa digitale o elettronici, e inviti inoltrati via mail o sms, chi davvero si distingue continua a farsi fare biglietti da visita, inviti, partecipazioni e biglietti di ringraziamento con tutti i crismi. Stampati e rifiniti a mano con i metodi della tipografia tradizionale. E non può non conoscere certi indirizzi.
A Milano i must sono Pettinaroli, storica tipografia amata da Maria Callas che ha appena compiuto 130 anni, e la Ditta Raimondi di Pettinaroli (sono lontani cugini) che stampa biglietti chic dal 1910. A Roma e Firenze è d’obbligo è Pineider: nato nel capoluogo toscano nel 1774, nella capitale ha due negozi (150 rivenditori e sei monomarca in Italia, uno a Milano) che da anni sfornano cartoncini d’invito per ambasciatori e capi di Stato. La Roma bene frequenta anche Cianfanelli, ma Pienider ha fra i clienti personaggi come Sting, mentre a Napoli il luogo di culto è P&C. Tipografie che stampano come una volta, «con incisione a mano su piastrina di rame, che permette di avere i caratteri a rilievo, i più pregiati, e la tecnica tipografica, con le letterine di piombo», spiega Francesco Pettinaroli, quarta generazione della tipografia di famiglia. Ma anche la carta è fondamentale. Da Pineider la più preziosa è «vergata a mano in cellulosa di cotone a ph neutro, tagliata ad acqua, con filigrana scelta dal cliente» (per 100 biglietti di ringraziamento e 100 buste, tanto per dire, si spendono 6.800 euro; 8.300 per un set da 100 di carta da lettera), e la più nuova ha i bordi colorati, da Pettinaroli è quella fatta a mano ad Amalfi con i bordi frastagliati. Ne sa qualcosa la contessa Marta Brivio Sforza, che possiede diversi tipi di biglietti raffinati, «tutti senza titolo nobiliare: solo nome e cognome, e una piccola corona stampata in blu». Per gli amici però usa quelli mignon nell’astuccio «très chic» di Valextra (un must per le signore meneghine, in alternativa a quelli di Pettinaroli). Semplici anche quelli della contessa Marta Marzotto, che ne ha una collezione. «Niente stemmi, solo nome e cognome a rilievo, ne ho tantissimi ma li dimentico sempre a casa». Gli inviti però non si dimenticano: «Per i miei 80 anni l’ho voluto classico ma dal contenuto divertente, tutto giocato sul numero 80». Gli inviti chic devono esserlo anche nell’involucro, perché una busta scadente è come un brutto cappotto: rovina tutto il resto. «Il nome del destinatario deve essere scritto a mano», aggiunge la Brivio Sforza, «c’è chi vedendo l’etichetta stampata, li cestina». Equivale a far stampare i ringraziamenti: «Bisogna scriverli di proprio pugno, il ritorno all’attenzione personale è fondamentale». Mentre l’alta società romana guarda il nome sulla busta: se non c’è la firma di Pineider la festa non vale.

Anche perché «ormai ti invitano per tutto, anche per le aperture delle porte», ironizza la Marzotto. Qualcuno pure per festeggiare il divorzio. Sempre seguendo l’etichetta, perché a volte la forma conta più della sostanza.

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