La rivincita dell’ex tecnico bianconero

«Tutto il Giappone deve rendere omaggio a questa squadra che ha fatto il possibile per onorare il suo Paese». Firmato Zaccheroni Alberto, trenta secondi dopo il trionfo. Un romagnolo in cima all’Asia intera, non c’era riuscito neppure Gengis Khan. A Doha, il Giappone si è laureato per la quarta volta campione continentale. Ha segnato Tadanari Lee nel secondo tempo supplementare, 109esimo minuto di Giappone-Australia, ha segnato uno zainchi, come vengono chiamati i coreani di terza, quarta e ormai quinta generazione emigrati in Giappone a metà del secolo scorso. Sono circa un milione, sono sparsi su tutte le isole giapponesi, nordisti e sudisti, senza distinzione, qualcuno legato irrimediabilmente alle sue origini, qualcun altro pronto ad abbracciare la nuova patria. Tadanari è rimasto nella terra di mezzo fino alle soglie della nazionale maggiore, fino a quella stagione aveva giocato con l’Under 19 coreana, poi ha deciso il grande salto, ha mantenuto il cognome d’origine ma ha indossato la maglia del Sol Levante. Zac l’ha tirato fuori dalla panchina dopo quasi due ore di crepacuore, poteva andare in vantaggio, poteva finirgli malissimo. Appena l’arbitro uzbeco Irmatov ha fischiato la fine, Zac è corso ad abbracciarlo, era paonazzo e felice, avrebbe dovuto abbracciare anche l’australiano Ognenovski che, stanco e con le tossine in agitazione molecolare violenta, si è dimenticato del numero 19 che si è trovato solo, ma veramente solo, sul dischetto del rigore pronto a ricevere un cross dalla sinistra di Yuto Nagatomo, difensore del Cesena. Lee a quel punto si è coordinato e ha colpito al volo di sinistro in equilibrio con la punta del piede destro sul dischetto del rigore. Onestamente è molto difficile trovare su un campo europeo, uno qualunque, anche di bassa divisione, un centravanti lasciato libero sul dischetto del rigore. Ma questa edizione a Doha è stata particolarmente stressante, 16 squadre, tantissime partite, quasi una ogni due giorni e dopo 100 minuti e spazzola di finale, ci sta tutto. Zac ha vinto, ha chiesto ai giapponesi di rendere onore ai suoi ragazzi e a Tokio parlano solo del ct italiano che porta il Giappone in cima al mondo e intanto salva il calcio del suo paese. Abbiamo il club campione del mondo in serie A, ma in oriente abbiamo una pessima reputazione e ci preferiscono Liga e Premier, addirittura la Bundesliga dove ci sono sempre più calciatori nipponici. Zac ha colpito talmente la fantasia dei media e dei tifosi che lo considerano troppo calmo e modesto per essere un vero italiano. Lontano dallo stereotipo conosciuto e infinitamente meglio di tutti i ct che lo hanno preceduto sulla panchina del Giappone, compreso Arthur Coimbra Zico, venerato ancora oggi.

Lui e il suo staff italiano, Maurizio Guido, Stefano Agresti, Eugenio Albarella e Paolo Colautti sono il nuovo calcio d’oriente, la pista da seguire. Adesso dicono che le altre nazioni cercheranno copie qui in Romagna, qualcuno disposto a emigrare come Tadanari Lee e Alberto Zaccheroni.

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