«Siamo entrati dalla porta principale con i caschi e gli scudi. Ho visto dei materassi in fiamme nel corridoio principale e gente che dalle quattro finestre che si affacciano da destra e da sinistra ci bersagliava lanciando oggetti. Molti siamo rimasti contusi. Anche io ho riportato una ferita alla gamba sinistra». In aula, il clima è teso. Il maresciallo dei carabinieri ricostruisce davanti al giudice gli attimi convulsi della sommossa scoppiata la sera del 13 agosto nel Cie di via Corelli, al termine dei quali 14 extracomunitari sono stati arrestati. Gli stessi che - dalla «gabbia» degli imputati - hanno insultato un secondo testimone, lispettore Vittorio Addesso, responsabile del centro, costringendo il giudice a rinviare la sua deposizione.
Ma laria, in tribunale, si era già fatta pesante fin dalle prime battute del processo. I 14 imputati, e con loro diversi militanti del Comitato milanese antirazzista, avevano duramente contestato la decisione del giudice Antonella Lai di non sentire come testimone il ministro dellInterno Roberto Maroni sulle modalità della decisione di applicare la retroattività della norma che proroga da 2 a 6 mesi il trattenimento degli immigrati extracomunitari nei centri di identificazione ed espulsione. Così, nellaula, è comparso uno striscione con la scritta: «Libertà». E «libertà, libertà» hanno gridato i giovani, e poi «Assassini». Il giudice, a quel punto, ha ordinato lespulsione del pubblico, e il processo è proseguito a porte chiuse. La protesta si è trasferita nei corridoi del palazzo di giustizia, presidiato da agenti in tenuta antisommossa.
Mauro Straini e Massimiliano DAlessio, i difensori dei 14 immigrati (9 uomini e 5 donne, tutti accusati di incendio doloso, resistenza, lesioni, danneggiamenti), hanno insistito sulla necessità di «contestualizzare i fatti». «Ci sarà da qualche parte una circolare, un ordine per iscritto o a voce - hanno spiegato al giudice -, che ha portato a considerare retroattiva la norma. Sappiamo che solo qualche giorno prima il responsabile del Cie aveva tranquillizzato tutti dicendo: chi è già dentro fa due mesi e basta, non di più. In che modo è cambiato tutto in un secondo momento?». Ma per il giudice ricostruire la catena di comando «è irrilevante». E il suo «no» riguarda anche le ipotizzate deposizioni di questore e prefetto di Milano. Una decisione che ha scatenato la reazione dei militanti del Comitato.
Lunica testimonianza, quindi, è stata quella del maresciallo dei carabinieri.
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