È rivolta al grido di «concorrenza sleale». E non solo: cibi scadenti, cuochi fai da te, prodotti importati.
I commercianti di mezza Italia sono in rivolta contro il proliferare incontrollato delle sagre. A Siena la ribellione è capeggiata dal presidente provinciale della Fiepet-Confesercenti Gaetano De Martino: «In tempi di crisi, per i commercianti è insopportabile la concorrenza delle sagre, che hanno costi abbattuti: dallilluminazione allo smaltimento dei rifiuti rispetto a chi deve mantenere un negozio. Le iniziative proliferano in maniera indiscriminata, il legame con il territorio è sempre più debole». Se non assente. È il caso della sagra del calamaro gigante di Manziana, cittadina di seimila anime ai margini dei monti Cimini, nel Lazio, trasformata alla terza edizione in sagra del calamaro fritto. Qual è il nesso con la Tuscia, famosa per i butteri e la carne maremmana?
A Tuscania, provincia di Viterbo, da anni si tiene la sagra del baccalà. Quattromila coperti in tre giorni, 80mila euro di ricavato che vanno a organizzatori non del posto. E i ristoratori del borgo medievale? «Per tutto il fine settimana non abbiamo avuto un tavolo occupato, siamo rimasti a girarci i pollici mentre qualcuno si intascava fior di quattrini. È giusto?». Eppure la festa, organizzata già due volte in due mesi, è stata patrocinata dall'amministrazione comunale che a fronte di uno spiegamento di vigili urbani e protezione civile, ha intascato 10 euro «simboliche» per l'occupazione di suolo pubblico. «Perché non sono stati interpellati i ristoratori? - chiede Regino Brachetti, capogruppo della Lista Patto per Tuscania, sindaco fino al 2001 -. Nei giorni scorsi c'è stata riproposta una kermesse mangereccia -, dimostrazione del decadimento culturale di Tuscania, in balia della prima tavolata che si presenta. L'unico effetto di queste iniziative è l'impoverimento del settore della ristorazione tuscanese, tra le più qualificate del viterbese, soggetta a una concorrenza che punta solo sulla quantità per fare cassa. Gli organizzatori, che non sono di qui, ci guadagnano alla grande, promettendo di dare qualcosa in beneficenza».
Per mettere ordine a questo caos la Confesercenti Lombardia ha presentato la richiesta di un regolamento regionale: alle amministrazioni chiede di limitare a dieci giorni non consecutivi le autorizzazioni per la somministrazione di bevande e alimenti.
«Il caos è sotto gli occhi di tutti - conclude De Martino - e il settore ne paga le conseguenze».
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