Cinzia Romani
da Locarno
Un thriller a luci rosse o un noir che si tinge di giallo? Nelle more dei colori, la regista milanese (di nascita) Roberta Torre, ma napoletana di vocazione artistica (suo il ritratto del musicista partenopeo Nino DAngelo e a Napoli si ambienta il suo ultimo film), con Mare Nero fa luce su alcuni punti. Se non sapevate, per esempio, come fanno gli sbirri a far «cantare» i camorristi, ora questa pellicola prodotta da Cattleya e da Raicinema (costo: due milioni e mezzo di euro) getta piena luce sulla figura del «leccatore». «Lho saputo da alcuni amici, che lavorano in polizia: per umiliare la gente di camorra, uomini perlopiù molto virili, cè chi li lecca sul collo, facendo provare loro schifo e vergogna», illumina la regista di questo lungometraggio, a Locarno in competizione internazionale. Evidentemente alla Torre, ieri in jeans e tacchi a spillo per affrontare la stampa, non proprio innamorata del suo ultimo imbarazzante lavoro, già piazzato a Singapore e a Taiwan, piace sfruculiare la psiche maschile. «Conosco bene le ossessioni del personaggio principale. Ossessioni che sono più maschili che femminili. Gli uomini, infatti, vogliono tenere tutto sotto controllo e trasgredire per poi trovare, a casa, la moglie bella casta».
Perché qui il perno narrativo gira intorno al povero ispettore Mocci (un attonito Luigi Lo Cascio, allapparenza ignaro di come sia capitato dritto dritto nel soft-porno, in mezzo agli scambisti) che, proprio quando sta per spassarsela con la sua convivente (la longilinea Anna Mouglalis, modella laureata alla Sorbona e lanciatissima dopo il successo personale riscosso in Romanzo criminale), viene chiamato a risolvere un caso. E che caso! Una ragazza di buona famiglia (Andrea Klara Osvart, unaltra modella laureata in lingue, però ungherese) giace strangolata, col cranio sfondato e non perché stesse giocando a Sudoku. È che non le bastava mai, come confesserà, di lì a poco, il suo assassino. Il povero Mocci, issato su scarpe nere troppo lunghe per lui, comincia a perdere la brocca, vuoi perché la giovane lo colpisce con la sua avvenenza, ancorché cadavere allobitorio, dove lui, comunque, torna a guardarsela (necrofilia?); vuoi perché la sua compagna è troppo bella, per essere casta; vuoi perché pestare il fango, a Mocci, piace. Sicché, frequentando il parcheggio degli scambisti, finirà anche lui col picchiare selvaggiamente una poco di buono.
Sullo sfondo, comunque oscuro, acqua nera, sogni lattiginosi e una statua di bronzo mutilata, quasi a evocare un personaggio dionisiaco, simbolo di amore e di morte. «Nella mente di un uomo il sesso è una chiave di lettura per arrivare a qualcosa di più intimo», dice la regista, che mirando alle luci e alle ombre di David Lynch, ama lavorare sulla realtà e per questo avrebbe parlato con gli scambisti, per farsi raccontare come procedono. «È vero, ho cambiato radicalmente genere con questo nuovo film: il fatto è che mi piace esplorare il nero ed io, che vengo dal cinema povero, continuo comunque a credere che si possano girare film con pochi soldi». Per Lo Cascio, che presto tornerà a girare un film con il collega Fabrizio Gifuni (Il dolce e lamaro di Andrea Porporati) e che qui si trova in un ruolo inusuale, dopo le sue precedenti parti da bravo ragazzo impegnato, «non esistono etichette, perché letichetta è in chi guarda», argomenta il nostro Dustin Hoffman. «La recitazione è spazio di gioco, per me, né mi è stato troppo difficile calarmi nel mio personaggio, che se vogliamo è soltanto uno spettatore afasico nel cui corpo cè già il marmo freddo dellobitorio, perché lui, allinterno della coppia, è ormai incapace di amare».
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