Roberto, il cacciatore di tombe che ritrova i dispersi nei lager

Un artigiano veronese è riuscito a dare un nome a 10mila deportati. Tanto da guadagnarsi una medaglia al merito

Roberto, il cacciatore di tombe  
che ritrova i dispersi nei lager

«Chissà che fine ha fatto lo zio Luciano», si domandava ogni tanto Roberto, suo nipote. Che fosse morto in un lager in Germania, a Flossemburg, era l'unica cosa certa; ma dove fossero le sue spoglie, quali peripezie fossero state riservate al suo cadavere dopo la morte, a casa non lo sapeva nessuno. Finchè Roberto Zamboni, 47 anni, di Montorio Veronese, titolare di un piccolo calzificio, non decise di vestire i panni dell'investigatore privato. Da allora, e sono passati quindici anni, accanto alla sua attività di imprenditore ne ha avviata un'altra: quella del cacciatore di tombe. Come se avesse sentito una «chiamata», una sorta di obbligo morale: dare una risposta, un luogo su cui piangere, ai parenti della moltitudine di soldati e civili italiani internati o deportati nei campi nazisti e che, alla fine del loro calvario, vennero sepolti in Germania, in Austria e in Polonia. Sicchè sono circa 10mila i «desaparecidos» italiani della Seconda Guerra Mondiale di cui Zamboni ha ricostruito le ultime ore: un’opera meritoria per la quale a Zamboni è stata assegnata una medaglia al merito.
Uno di questi poveri morti si chiamava Francesco Pezzotta. «Quel soldato era mio padre - ha raccontato ieri Savino Pezzotta, ex segretario generale della Cisl, all'Eco di Bergamo, che aveva pubblicato un lunghissimo elenco di nomi di soldati, avuto da Zamboni, di deportati in Germania dopo l'8 settembre. Lì, stampato nero su bianco, sul giornale della sua città, l'"orso bergamasco" - come lo chiamavano quando da sindacalista strillava e batteva i pugni sul tavolo - ha visto scritto per la prima volta il nome del luogo dove suo padre è sepolto, e anche tutto il resto. "Pezzotta Francesco, nato l'11 agosto 1914, internato nello stammlager IB, deceduto a Hohenstein/Witajno (voivodato di Varma-Masuria) il 9 giugno 1944 per malattia; attualmente sepolto a Bielany (polonia), cimitero militare italiano d'onore, posizione tombale da richiedere al ministero della Difesa». Aveva appena sei mesi, Savino Pezzotta, quando il padre, un artigliere alpino della Tridentina, morì. «Era stato catturato al Brennero e portato in Germania. Dopo l'8 settembre gli chiesero se voleva entrare nella repubblica di Salò. Rispose di no, firmando così la sua condanna a morte».
I militari italiani internati in Germania dopo l'8 settembre 1943 furono 650 mila. I morti furono circa cinquantamila. I civili deportati nei lager del Reich furono attorno ai 44 mila. Il novanta per cento perse la vita. Di molti , le loro famiglie ancora non conoscono il luogo dove sono sepolti. Ecco, la missione che si è scelto Roberto Zamboni è questa. Scoprire l'ultimo domicilio conosciuto di questi poveri cristi. Una ricerca condotta sui libri, sui documenti dei Corpi di spedizione, parlando con gli ex deportati, scavando tra le carte degli uffici ministeriali.
Di suo zio, il cui nome figura inciso su una lapide del paese, alla voce «disperso», Roberto Zamboni sapeva che era stato internato nel lager di Flossenbürg. «Ma non sapevamo che cosa gli fosse successo. Soltanto, non era mai più tornato a casa. Ecco, io penso che vedersi portar via un figlio poco più che ventenne per poi scoprire che è morto di stenti e maltrattamenti in un campo di concentramento è una cosa terribile. Non avere una tomba su cui piangerlo, è difficilmente sopportabile». Che cosa ha scoperto? «Che i caduti italiani nei lager che furono raccolti in sei sacrari militari furono circa sedicimila. Scoprii che buona parte dei parenti di questi caduti non vennero mai a sapere della traslazione dei loro congiunti, perché nel gennaio del 1951 era stata approvata una legge che vietava il rimpatrio delle salme. Dall'entrata in vigore di questa normativa assurda, chi avesse avuto un parente morto in un campo di prigionia per mano tedesca, traslato senza il consenso dei parenti, in uno dei cimiteri militari italiani, non avrebbe più avuto la possibilità di rimpatriarne le spoglie». Fu allora che cominciò la battaglia di Roberto Zamboni contro la legge, poi abolita, «anti rimpatrio».

«Di recente ho ottenuto dal ministero della Difesa l'elenco di tutti i caduti sepolti in Germania, Austria e Polonia. Una lista di oltre 15 mila caduti italiani, contenente i dati di base (cognome, nome, provincia e data di nascita, data di morte e cimitero di attuale sepoltura). Ma il lavoro da compiere è ancora lungo».

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