Non si scopre oggi lintensità del nodo che stringe il figlio alla madre: esso precede la vita per poi confermarsi durante e oltre la vita. La letteratura ne trae volentieri ispirazione, romanzi e poemi se ne alimentano: il dramma è più frequente dellidillio. Anche dove non produca guerre visibili, è amore che patisce uno squilibrio, lascia una piaga aperta se il figlio - per legge di natura e salvo rare eccezioni -, sopravvissuto alla madre, nel ricordarla si accorga o sospetti di aver mancato nei confronti di lei.
«Orfano» inconsolabile a qualsiasi età, egli si confessa inadempiente, magari solo per una parola utile o feconda che poteva dire alla madre e invece non le ha detto in vita. Lacune a cui cercherà di rimediare, ma ormai è tardi. Insomma, una situazione canonica, fin troppo umana. Farne materia di scrittura è difficile, le retorica sta in agguato, scivolare nel patetico guasterebbe limpresa. E oggi è limpresa di Roberto Carifi, che in una sequenza di ventitré capitoletti (Frammenti per una madre, Le Lettere, pagg. 43, euro 6,50), nel decennale della scomparsa di lei, recupera e rilegge episodi della vita che passarono insieme.
Per fortuna il tema, poetico anzi «lirico» in sé, è svolto da un poeta di formazione filosofica e ragionativa, Carifi appunto, che non a caso tra i maestri novecenteschi predilige Bigongiari (morto anche lui in quel funesto 1997). Bigongiari era cresciuto a Pistoia, ovvero nella città di Carifi: mai descritta in queste pagine ma accennata con uno stile senza sbavature, per il quale si pensa alla prosa di un altro autore toscano, Bilenchi («Andammo a vivere in una casa discreta, alla periferia della città»).
Dopo che il padre ha abbandonato casa e famiglia, tra la madre (una maestra) e Roberto il legame si fa ancor più intenso. La malattia e la morte non lo recidono. Sparita lei, a volte sembra che il suo nome, Licia, sia la sola cosa viva e concreta: il figlio insonne lo pronuncia come fosse il proprio. Pur senza sciogliersi totalmente dal dubbio, Carifi si converte al buddhismo: spera che ritroverà la madre «nel Paradiso Occidentale, dove il Nirvana è più facile che altrove». Un ictus colpisce lo scrittore e poeta nel settembre del 2004: egli lo supera e impara a isolarne le dure conseguenze fisiche attingendo a «quello che chiamiamo spirito», la «forza di continuare». «In attesa del Nirvana che può liberarci da tutto».
Più che da questo sguardo proteso a un futuro di là dai confini della terra, credo che il lettore sarà commosso da taluni scorci familiari: dove si parla di una precoce - soffocata - vocazione della madre al suicidio; o della figura di lei che, trasferita in città dal paesino di Cireglio, sùbito ringiovanisce nel suo «cappellino a fiorellini».
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