Roberto Gatto: il nostro jazz celebra Davis

Franco Fayenz

Non è trascorso un tempo immemorabile da quando si poteva dire (e scrivere) che «in Italia si suona il jazz peggiore d’Europa». Le ragioni c’erano, naturalmente: generiche e specifiche. Prima di tutto, la scarsa educazione musicale degli italiani, che è ancora tale e quale. E poi il decollo ritardato del jazz nazionale, cominciato appena nel secondo dopoguerra perché prima, dalle nostre parti, questo tipo di musica non era gradito. Ma trent’anni fa, o poco più, sono accadute cose importanti come l’apertura di scuole di jazz e lo zelo dei musicisti, giovani e meno giovani, che si sono impegnati nello studio, hanno frequentato i conservatori e soltanto dopo si sono perfezionati nella musica preferita. Oggi, perciò, può accadere di assistere a un concerto eccellente come quello tenuto al Blue Note di Milano dal quintetto del batterista Roberto Gatto: due ore di musica, sala esaurita e pubblico entusiasta. Con Gatto c’erano Flavio Boltro tromba, Daniele Scannapieco sax tenore, Dado Moroni pianoforte, Rosario Bonaccorso contrabbasso: quattro ottimi solisti della generazione di mezzo e un giovane (Scannapieco) per un gruppo che non è nemmeno stabile perché ciascuno ha impegni propri e Boltro vive in Francia dove (si noti) è apprezzatissimo.

Gli splendidi cinque hanno esplorato, magnificamente e senza alcuna imitazione, il repertorio frequentato da Miles Davis negli anni Sessanta (Stella by Starlight, Seven Steps to Heaven, So What). Pareva di essere al club Plugged Nickel di Chicago, quarant’anni fa.

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