Nel gergo della finanza si chiamano «robo-advisors», letteralmente consulenti-robot, e sono l'ultimo grido dell'industria del risparmio. Più che automi veri e propri sono programmi, gestibili attraverso il web, che fanno ampio uso delle più sofisticate tecniche di intelligenza artificiale: il risparmiatore inserisce i propri dati, patrimonio, somma che intende investire, propensione al rischio e così via. Il «robot» valuta gli elementi che gli sono stati forniti, li confronta con tutti i dati a disposizione sui mercati, compresi quelli ottenibili in tempo reale dalla Rete, elabora una strategia di investimento personalizzata e nei casi più estremi provvede a realizzarla.
Negli Stati Uniti i patrimoni gestiti in maniera automatizzata, offerti ormai da 200 società diverse, hanno superato di slancio i 50 miliardi di dollari. In Italia sono ormai una dozzina gli operatori che usano i «robot». Quali i vantaggi? Prima di tutto l'accessibilità (via internet) e i costi: un programma d'intelligenza artificiale è in grado di fornire proposte di investimento mirate sul singolo cliente con spese decisamente inferiori a quelle del consulente tradizionale. «Sull'uso dei robo-advisors, bisogna però intendersi», spiega Marco Giorgino, responsabile scientifico dell'Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano. «Non bisogna pensare che l'automa faccia tutto da solo. Esempi di questo tipo non sono ancora significativi. Per il momento il robot interviene in alcune fasi del processo di investimento. Molto più diffuso, invece, è un modello ibrido, in cui la macchina non sostituisce la componente umana, ma la integra. Basti pensare alla possibilità, offerta dalla tecnologia, di profilare in modo molto analitico il risparmiatore e di ottimizzare, anche attraverso simulazioni finanziarie, le scelte sul suo patrimonio».
I consulenti automatizzati sono una delle facce del fenomeno «fintech», dall'unione delle due parole finanza e tecnologia, destinato secondo gli esperti, a rivoluzionare l'economia. Dal 2011 a oggi, secondo i dati del Politecnico, le «startup», le nuove società del settore, hanno raccolto finanziamenti internazionali per oltre 26,5 miliardi di dollari. Tutti destinati alla ricerca di nuove strade e soluzioni per la gestione dei nostri soldi. «Il fintech trova terreno fertile soprattutto nelle aree in cui le banche fanno più fatica e sono meno efficienti», spiega Giorgino.
«E a suo favore giocano una serie di elementi: costi più bassi, soluzioni facilmente fruibili in digitale, capacità di gestire enormi quantità di dati su clienti e mercati, i cosiddetti big data, spazio regolamentare ancora non definito come è invece quello delle banche tradizionali».AA
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