Rock, provette e immigrati: il regresso secondo Ceronetti

Nel suo ultimo libro dà sfogo a tutto il pessimismo sulle sorti del mondo e del nostro Paese Definisce gli stranieri "indicibilmente estranei" e si allarma: "Getteranno la nostra cultura"

Rock, provette e immigrati: il regresso secondo Ceronetti

Non sono tempi per reazionari, questi. Dal Vaticano a Palazzo Chigi, dalla Casa Bianca alla Silicon Valley c'è in giro un'incomprensibile fiducia nelle magnifiche sorti e progressive. Ci sono ancora innumerevoli guerre e violenze e crisi e miserie, anche gli ottimisti lo ammettono, ma grazie alla buona politica o alla buona religione o alla buona ecologia o alla buona tecnologia, o a un mix di tutte queste bontà, l'umanità migliorerà. Sicuro. Come no. Chi non se la beve, l'apota alla maniera di Prezzolini, non può che accogliere con un sospiro di sollievo l'ultimo libro di Guido Ceronetti, Tragico tascabile (Adelphi, pagg. 215, euro 14). Che è di un pessimismo assoluto, senza scampo e perciò paradossalmente liberatorio: le illusioni, oltre che preludere a delusioni cocentissime, sono sbarre che impediscono di pensare. Il lettore ceronettiano simili rischi non li corre, illusioni non è indotto a farsene. «L'Italia non ha né tempo né capacità né volontà di integrare l'enorme afflusso di popolazioni indicibilmente estranee a tutto quanto l'Italia rappresenta di non-materiale, che è per loro impenetrabile, dunque gettabile. Per loro non contano che i bisogni primari. Libri italiani non ne leggono». Avete capito bene: il vecchio maestro delle patrie esoteriche lettere non dice «migranti», come dicono tutti, e nemmeno «invasori», come dico io: gli africani che sbarcano e gli asiatici che si installano li definisce «indicibilmente estranei» e quindi non integrabili ossia disintegranti. Essendo un vero letterato, e non uno scrittore da appello e da televisione, invece del problema umanitario si pone il problema letterario: chi nell'Italia futura leggerà Dante? Già le ultime generazioni di autoctoni non sembrano ansiose di immergersi nella Divina commedia e nei Promessi sposi , che pure parlano della loro storia e della loro geografia, figuriamoci i figli del Marocco e della Cina quanta voglia avranno di leggere un poeta fiorentino che sbatte Maometto all'inferno e un romanziere milanese fissato con quel ramo del lago di Como e incapace di scrivere un capitolo senza riempirlo di preti, frati e monache.

Ceronetti non teme di apparire retrivo. Attacca l'architettura moderna, le torri di Babele contemporanee: «Irradia malessere il mostruoso grattacielo eretto da Renzo Piano sul corso Inghilterra, visibile dappertutto, un'offesa bruciante per l'intero contesto urbano». Leggendolo sono rimasto turbato al punto da mettere in dubbio l'inserimento di Torino nel mio prossimo libro sulle peculiarità delle città italiane: che quei 167 metri di hybris senza stile abbiano messo definitivamente in ombra il bicerin, la Consolata, il Cambio, i gianduiotti, il vermut, il Circolo dei Lettori, Piazza San Carlo, la Sindone, il Po? Ci devo riflettere e mentre rifletto mi godo Ceronetti che attacca, splendidamente donchisciottesco, la comunicazione moderna, internet, i telefonini: «Lo smartphone è un baratro senza fondo in cui l'Utente, una volta catturato, precipita senza fine». E la riproduzione moderna, le provette, la fecondazione artificiale: «Come regresso di civiltà non c'è male: una siringa, una siringatura, la donna parificata alle vacche...». Il gran misoneista non teme nemmeno di apparire misogino. Cita Jean Rostand, il biologo francese tra i primi a intravedere i pericoli della maternità manipolata, e poi ci aggiunge del suo: «Rostand mette in guardia le donne (ma chi può persuadere qualcosa alle scervellate?)».

Non tutto è così reazionario in Tragico tascabile , ad esempio a pagina 40 compare, inspiegabile e inspiegata, una dichiarazione pro Obama, fra l'altro dopo un passaggio nostalgico dedicato a Reagan. Vattelapesca. Poi lo scrittore torinese si fa perdonare attaccando cose che nemmeno i più arcigni conservatori attaccano più: la messa italiana e il rock inglese. Pur non essendo cattolico rimpiange «la Messa tridentina in latino, che cercò invano di rimettere in uso, con un motu proprio, Benedetto XVI». Ricordandoci che Papa Ratzinger si è dimesso dopo aver constatato che nella Chiesa nessuno gli dava retta. Sono talmente tanti che è impossibile fare i nomi dei vescovi colpevoli di aver boicottato, anche apertamente, il motu proprio. O andavano via loro o andava via il Papa: è andato via il Papa, trascinando di nuovo nell'abisso latino e gregoriano, «sostituito da cori e coretti da pollaio». Sul rock la pensa come Padre Amorth, forse peggio: «Tutto il rock è di diretta ispirazione demoniaca e cattura le anime vuote, le imprigiona e le rende disponibili per il male». E giù un capitolo in cui accusa i Beatles di avere eccitato con Helter skelter la furia omicida di Charles Manson, lo stragista satanista che nel 1969 uccise Sharon Tate, moglie di Roman Polanski.

A me Helter skelter più che un brano subliminale sembra un brano submusicale, tuttavia non mi permetto di discutere Ceronetti: avercene, di reazionari così implacabili, capaci di prendersela con un brutto disco progressista di quasi mezzo secolo fa.

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