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Rock, virtuosismi, bei testi. I Måneskin passano l'esame

Abbiamo ascoltato in anteprima il nuovo disco "Rush!" che mescola provocazione e analisi, musicalità e moda

Rock, virtuosismi, bei testi. I Måneskin passano l'esame

Mammamia i Måneskin alzano ancora il volume. E mica un po', è proprio al massimo. Venerdì 20 esce urbi et orbi il loro Rush!, ossia il cosiddetto «sliding disco», quello decisivo, quello che da una parte c'è la conferma e dall'altra il ridimensionamento, o di qua o di là. Dopotutto, si sa, vanno bene i post e le stories a raffica, sono perfetti gli outfit oltraggiosi (letteralmente outrageous) e le tournée tutte esaurite, ma a fare la differenza sono sempre le canzoni. Quelle di Rush! fanno spesso la differenza, a patto che si azzeri la memoria. Il rock dei Måneskin è reloaded, è l'aggiornamento di quello suonato dai loro maestri tra gli anni Settanta e i Novanta e che la livella del web ha fatto morire in un amen. O almeno si credeva.

Per fortuna ci sono i Måneskin, per fortuna sono «worldwide star» e per fortuna una generazione si accorge che esiste la chitarra, che la provocazione può essere una forma d'arte e non soltanto una lotta di classe e che, tutto sommato, la musica può diventare catartica, purificatrice, semplice divertimento artigianale. Diciassette brani, cinque già pubblicati (Gossip, La fine, Mammamia, Supermodel, The loneliest), tutti in inglese tranne tre. Risultato? Il riff di chitarra di Own my mind è il biglietto da visita di un disco nervoso, asciutto, diviso in due (e poi si capisce perché) ma monolitico nell'impatto feroce, quasi punk. Victoria, Damiano, Ethan e Thomas hanno l'originalità di chi vive e fa rivivere la musica che ascolta dall'infanzia.

Qui c'è hard rock con molti punti di riferimento (attenzione, non sono plagi, anzi). L'arpeggio di Timezone ricorda Nothing Else Matters dei Metallica e, mentre Damiano urla che «sto perdendo lucidità» e «la fama non significa nulla», Thomas Raggi suona la chitarra come si deve liberando un assolo che, accidenti, trasuda storia del rock e richiama la dolce fluidità di Randy Rhoads.

C'è di tutto in questo Rush!, a partire dalla copertina con la modella che non si capisce se supera, stuzzica o schiaccia il gruppo. L'apparenza e la musica. La moda e il rock.

Il disco corre su due binari paralleli. Da una parte l'esaltazione ironica e mai passiva del cliché di sex, drugs e rock'n'roll: «A te piace la cocaina» ma «dici che sono un perdente se voglio una sigaretta elettronica» come canta Damiano in Bla bla bla prima di citare gli Smiths e confessarsi punk. E dall'altra c'è una profondità concreta nei testi, specialmente in quelli cantati in italiano e scritti dalla band senza aiuti esterni (e questo non è un dettaglio da sottovalutare in futuro). L'aggressività de La fine è il bilancio di un anno senza fiato, il Dono della vita si raccoglie in quel significativo «io rinasco dalla mia cenere» mentre Mark Chapman, che sfrutta nel titolo il nome dell'assassino di John Lennon, è una convincente analisi di chi pedina le celebrità, le condiziona e le assilla in nome di un amore che non c'è: «Dice che ti ama ma lo sai che mente», «E puoi trovarlo sotto casa con un coltello in mano perché non hai risposto a un suo messaggio». Pezzone. E gran bell'assolo di Thomas. In fondo la bellezza di questi nuovi Måneskin (che quasi sicuramente saranno ospiti a Sanremo) è di essere duplici, di approfondire e di cazzeggiare, di essere veloci ma non fugaci. Nella strepitosa Kool Kids il basso vorticoso di Victoria strattona Damiano che sfoggia un accento inglese da autentico punk inizio anni '80: «Non me ne frega un caz.. di essere un ragazzo alla moda». Un brano che piacerà pure a John Lydon che dai Sex Pistols passò ai Public Image Ltd, ossia ai Pil, proprio per continuare a non essere un «cool kid». Però occhio. Oggi per i Måneskin i «cool kids» «ascoltano solo trap e pop». In pratica una chiara divisione dei pani e dei pesci, da una parte i buoni che amano il punk e il rock, dall'altra tutti gli altri.

Insomma questo Rush! è un disco indubbiamente internazionale, il più internazionale che qualsiasi rock band italiana abbia mai prodotto. Con queste canzoni, la band affronterà il tour italiano ed europeo (dal 23 febbraio a Pesaro) e poi quello negli stadi (San Siro e Olimpico a luglio) ed è pronta a staccare il biglietto per il futuro. Una promessa per la vita.

Non a caso, giovedì sera a Roma andrà in scena il loro «matrimonio musicale», targato Spotify, riservato a pochi fortunati ma senza dubbio offerto subito in pasto ai milioni di follower a ogni latitudine.

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