Cronaca locale

«Rom, Penati faccia qualcosa di sinistra»

«Le proteste le abbiamo anche noi, ma le assorbiamo perché è giusto farlo. Lo facciano anche i democratici sindaci di centrosinistra. E io dico, ma facciano finalmente qualcosa di sinistra. Noi di centrodestra, accusati di essere insensibili, intolleranti, razzisti e pure con la Lega in giunta, abbiamo già fatto quello che né la Provincia né nessun Comune di centrosinistra ha fatto. E perché è giusto farlo, non perché siamo di una parte o dell’altra. A loro chiedo soltanto di copiarci». Ancora nomadi, ancora un battibecco tra Comune e Provincia. A sbottare Gabriele Albertini, arrivando ieri mattina alla Scala per il «Premio Milano produttiva» organizzato dalla Camera di commercio. E si capisce subito che questo è un boccone che non andrà giù tanto facilmente. Anche perché ai nomadi il sindaco, sfidando il galateo del politically correct, non esita ad attribuire un «potenziale criminogeno elevato».
Milano, spiega, è l’unico dei 189 Comuni della provincia ad aver realizzato campi di accoglienza utilizzando i fondi regionali, «attrezzandoli delle dotazioni necessarie per consentire una vivibilità minimale e con il rispetto delle norme igienico-sanitarie». «Per essere un dilettante della politica - la stilettata velenosa - forse me la cavo meglio di qualche professionista come Penati. Lui è da vent’anni che fa il politico. Io da otto, dovrebbe insegnarmi lui come si fanno queste cose».
Ma ce n’è anche per don Colmegna, presidente della Casa della Carità. «Ci chiede fatti? Rispondo - polemizza Albertini - che il Comune di Milano, oltre ad aver concesso gli immobili di via Brambilla e la locazione gratuita, grazie a un accordo tra gentiluomini con don Colmegna, con un milione e 524mila euro raddoppia gli importi che la Casa della Carità ottiene dalla società civile». Ma l’occasione è ghiotta per fare anche un po’ di conto: trentaquattro sono i campi allestiti da Palazzo Marino, 4mila i nomadi su 182 chilometri quadrati di superficie della città con una densità quindi di 22 nomadi al chilometro. Ben diversa dai nemmeno due nomadi (per la precisione 1,83) ormai stanziali nell’area della provincia di Milano.
Campi dunque allestiti dal Comune. Che poi, l’accusa di Albertini, «sono degenerati perché non sono state controllate le presenze». Erano previste per trecento persone e poi, come a Triboniano, ne sono arrivate oltre settecento. «E questo non dipende dall’organizzazione del campo, ma dai mancati controlli che hanno ingigantito il caso».
Caso rinfocolato dalla pepata missiva imbucata l’altro giorno a Palazzo Isimbardi e arrivata sul tavolo del sindaco. Che non ha fatto attendere per la replica. «La lettera di Penati esprime un auspicio. Un auspicio apprezzabile, ma niente più di quello. Siamo pronti a collaborare. Ripeto, individuino dei campi fuori dai 182 chilometri quadrati della città e noi siamo pronti a collaborare in termini organizzativi e di risorse patrimoniali». Scontro con la Provincia? «Nessuno scontro. Lo scontro è con questa contraddizione di propagandare la solidarietà e l’amore fraterno anche nei confronti delle minoranze etniche che hanno, diciamo così, qualche profilo di criticità nell’integrazione. L’accoglienza deve avvenire in termini compatibili con le risorse del territorio, degli spazi fisici e della capacità di assorbimento». E allora ritira in ballo la Casa della Carità.

«Anche don Colmegna che non si può dire non sia persona caritatevole, si rende conto che se dovesse ospitare trecento persone si creerebbe un bivacco e si distruggerebbero gli spazi così ben tenuti rendendo impossibile la funzione sociale della stessa Casa della Carità».

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