Rom, Veltroni non sa che pesci prendere

Liberare i campi rom abusivi non significa trovare una soluzione a quella che per la città è diventata una vera e propria emergenza, che ha coinvolto anche altri comuni laziali. Un’emergenza cui il sindaco sembra non saper far fronte. Tanto che si appella agli altri: «Diteci che cosa dobbiamo fare di questi rom (circa 25mila quelli attualmente presenti in città, ndr), dove li dobbiamo portare».
Il fatto è che Veltroni una risposta proprio non ce l’ha, si limita a dichiarare che «nessuno ha mai pensato di trasferire interi campi nomadi». Lo dice alla luce dell’incontro, svoltosi lunedì, nel quale la prefettura aveva provato a convincere otto sindaci di comuni laziali a ospitare alcuni rom presenti nella capitale. Ma la mediazione è fallita, anche per la pressione psicologica delle proteste di piazza. L’interrogativo, quindi, resta. Anche se Veltroni ancora «si augura che l’idea della Regione di spostare solo qualche persona, avviando un processi di integrazione non venga considerato un problema».
In realtà il problema c’è ed è stato sollevato dagli otto sindaci delle città, nell’incontro di lunedì cui il primo cittadino romano non ha partecipato proprio per questo: «Per ragioni politiche si era andati in giro nei comuni della provincia a dire che volevo trasferire i campi rom. Così non è». Il sindaco puntualizza che «il Comune la sua parte l’ha fatta, avviando un processo di delocalizzazione». Quindi, ora, lascia intendere, la palla passa ad altri. Anche se, difficilmente, si troverà un interlocutore più appropriato del Campidoglio, per avere una risposta a quell’interrogativo. Il punto è proprio qui: nulla si sa sul dove quelle persone andranno a stare, manca un progetto, una minima idea. E così il fatto che alcuni nomadi sgomberati da Villa Troili si stabiliscano in nuovo insediamento abusivo a Corviale diventa la normalità, a cui, però, l’amministrazione capitolina non sa reagire.
Veltroni, interpellato, gira intorno al discorso. E a chi, come il presidente della Federazione romana di An, Gianni Alemanno, gli dice che «ci vuole una legge nazionale», risponde: «Si poteva fare anche nei cinque anni di governo precedente e non si è fatta». Il che, però, non significa che una legge non serva. Qualcosa, infatti, si deve pur muovere. Nell’attesa di sapere quali sono gli sviluppi di questa emergenza, che a Roma, ha dichiarato Serra, «rischia di esplodere, se non si fa qualcosa», venerdì Alemanno incontrerà il prefetto, per illustrare i contenuti di una proposta di legge, che presenterà a breve in Parlamento, «finalizzata a costruire una strategia nazionale per fronteggiare il fenomeno del nomadismo e degli insediamenti abusivi nelle grandi metropoli, sul modello tedesco». «Non accetteremo - spiega il presidente della Federazione romana di An - che questo problema si trasformi in uno scarico di responsabilità tra i diversi referenti degli enti locali o che venga ulteriormente rinviato il problema senza prendere decisioni concrete».
Una legge nazionale, però, ha tempi lunghi e a Roma servono risposte immediate. Ecco perché, nell’attesa, «il Comune non può certo dormire sugli allori, come ha fatto fino a ora». È quanto sostengono Luca Malcotti e Federico Guidi consiglieri comunali di An, i quali chiedono al sindaco di «attivare immediatamente un Patto di legalità con i capi famiglia rom, tirando fuori dal cassetto la tanto propagandata mappatura di ridefinizione dei campi nomadi, promossa dall'assessore alle Politiche Sociale, Raffaela Milano, fin dai tempi della stesura del Piano regolatore sociale». E da Forza Italia arriva l’invito ad affrontare il problema in consiglio comunale.

«Non ci risulta ad oggi che il Comune di Roma sia stato commissariato ed affidato alle cure politiche di un prefetto», dice il coordinatore regionale Francesco Giro. «Il re è nudo, facciamo sì che nessuno lo rivesta», rincara la dose il capogruppo Michele Baldi.

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