L'imprenditore brasiliano che produce pellami cerca casa a Roma. Non come investimento, ma per viverci. Budget senza limiti o quasi. Si affida a un'agenzia romana specializzata in luxury real estate , che dopo qualche tentativo andato a vuoto, individua il pezzo giusto: un attico da 500 metri quadrati a due passi da piazza di Spagna. Il prezzo: 9 milioni e mezzo. Prendere o lasciare. Preso.
Casi limite per portafogli supermassimi. Ma in realtà Roma come oggetto del desiderio immobiliare non è mai passata di moda. Malgrado la burocrazia estenuante, le tasse sugli immobili che cambiano sigla ma sono sempre una tagliola, il degrado della città che visto da lontano rimpicciolisce assai. Sono cambiate semmai le nazionalità degli acquirenti, seguendo il tasso di cambio, le mode e l'alternarsi delle varie economie.
Già, perché fino alla seconda guerra mondiale l'acquisto di una casa a Roma era un atto più che altro romantico, una prosecuzione del Grand Tour ottocentesco sotto forma di rogito. Ad acquistare immobili erano soprattutto tedeschi, francesi, inglesi, qualche americano. Poi nel Dopoguerra ci fu l'invasione dei dollari. «Roma attraeva parecchi investitori, molti americani acquistavano casa», ricordava tempo fa Valter Mainetti, re della finanza immobiliare. Era l'epoca della Dolce vita , delle Vacanze romane , Roma sembrava al centro del mondo e un po' lo era pure.
Poi ci fu il ristagno. E a metà degli anni Ottanta la ripartenza, con l'iniezione dei petrodollari. Gli sceicchi inizialmente si buttarono sull'Inghilterra, poi scoprirono l'Italia acquistando alberghi lussuosi, ville, grandi appartamenti al centro, in genere servendosi come copertura di prestanome italiani. Quindi un'altra stasi e solo dalla fine degli anni Novanta gli investitori stranieri tornano a cercare casa a Roma. Prima di tutto i mitologici Russi. «All'inizio compravano di tutto e a qualunque prezzo - dice Tancredi Filippo Trifirò, titolare della Tft, società di gestione immobiliare di taglio alto - poi anche loro si sono dati una calmata». Ora il mercato è davvero globalizzato. «Negli ultimi tempi ho trattato con libanesi, argentini, uruguayani, indiani». E gli americani? «Sì, anche loro. L'altro giorno ho fatto in giro con uno di loro. Abbiamo visto una casa in via Giulia, un'altra vicino al Parlamento. Vuole qualcosa che gli dia l'impressione di stare a Roma, in un posto speciale». In realtà gli investitori made in Usa esistono ancora, ma guardano soprattutto al portafoglio del Fip (Fondo immobili pubblici), che intende far cassa con 400 immobili dismessi dallo Stato: uffici e caserme. Anche George Soros (con il fondo Quantum Strategic Partners) fa shopping, avendo acquisito il 5 per cento di Igd (Immobiliare Grande Distribuzione Siiq), cioè uno tra i principali operatori in Italia nel settore immobiliare della grande distribuzione, controllato dalle cooperative.
E poi c'è l'altra faccia del mattone straniero. Quello dei cinesi, che si stanno impossessando di interi pezzi di città, l'Esquilino, Tor Pignattara.
Quartieri in cui la chiusa comunità gestisce negozi, ristoranti, magazzini. E in cui acquistano immobili per investimento e perché per cultura non amano andare in affitto nelle città in cui mettono radici. Ma qui il fascino di Roma davvero non c'entra nulla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.