Roma, gli espropri piacciono anche alla Quercia

Un consigliere di Veltroni: metodo irrituale, ma è ingiusto indagare chi dà una casa ai senzatetto

Alessia Marani

da Roma

Espropri a Roma: Veltroni non parla. Chiuso tra l’incudine degli accordi coi costruttori romani per la realizzazione del nuovo Piano Regolatore Generale atteso da più di quarant’anni (una quota degli immobili che saranno edificati andrà, infatti, all’emergenza abitativa) e il martello delle okkupazioni filo-disobbedienti (e fuorilegge), l’inquilino numero 1 del Campidoglio si trincera dietro un imbarazzante silenzio. Non una parola, neppure due righe di comunicato sulla vicenda delle requisizioni selvagge di appartamenti vuoti nel X Municipio, periferia Est, dove lunedì scorso con un colpo di mano il presidente del parlamentino locale, Sandro Medici (indagato per abuso d’ufficio), ha di fatto concesso a una quindicina di nuclei familiari parte di uno stabile di Cinecittà, di proprietà privata, ma sfitto da tempo. Situazione ancora più imbarazzante se si pensa che il sostegno alla politica «alternativa» di Medici, quota Prc, scrittore ed ex giornalista de il manifesto, arriva da elementi della stessa maggioranza del sindaco in Comune: «Esprimiamo la nostra solidarietà a Medici - dicono Patrizia Sentinelli e Adriana Spera, consiglieri di Rifondazione -. La questione non va affrontata col codice penale». E aggiunge Pino Galeota, dei Ds: «Ingiusto indagare Medici solo perché ha adottato un sistema irrituale per dare un tetto a molte famiglie disagiate». D’altronde, di sistemi decisamente poco ortodossi nella gestione della politica abitativa a Roma, Veltroni ne conosce a bizzeffe. Merito anche della cosiddetta gestione «partecipativa» sul modello del no-globalismo ereditato dal popolo di Seattle a Porto Alegre (Brasile) inaugurato dal primo cittadino con la delega proprio al leader dei disobbedienti, Nunzio D’Erme, al Bilancio Partecipativo. Mandato ritirato, obtorto collo, nell’ottobre 2003 solo dopo il blitz al letame di D’Erme & Co. davanti a Palazzo Grazioli, residenza del presidente del Consiglio. Incidente di percorso a cui Veltroni ha di fatto rimediato concedendo ad Action, un’Agenzia comunitaria per i diritti, figlioccia degli antagonisti di D’Erme, mano libera sul patrimonio immobiliare capitolino e non solo. Nata nel 2002 per «l’esercizio diretto della sovranità popolare attraverso la riappropriazione dei diritti fondamentali delle persone», Action (ma la sigla è ancora Dac, Diritto alla Casa), occupa per prima cosa un palazzo in via Masurio Sabino, guarda caso in X Municipio, di proprietà dell’Aeronautica. Dopo tre sgomberi il Comune lo acquista per ben 17 miliardi di vecchie lire e Action ne fa il suo quartier generale. Qui apre una vera e propria agenzia con un sportello di «informazione sui diritti», poi allargato ad altri 11 municipi. È la stagione delle occupazioni e Veltroni non batte ciglio nonostante proprio in questi giorni la Procura di Roma abbia rimesso al Gup gli atti d’incriminazione per D’Erme e undici dei suoi per associazione a delinquere in delitti contro il patrimonio immobiliare: in tre anni finiscono okkupati sei appartamenti nel quartiere San Lorenzo, un ex cinema in viale Jonio, 30 abitazioni al Tufello di proprietà di De Laurentiis, due stabili nel centro storico, un edificio degli eredi del Conte Vaselli in via Castrense e, infine, uno stabile in via de Lollis, nella città universitaria. L’agenzia «trova casa» a 500 famiglie in barba alle graduatorie e alle liste comunali, alla faccia di chi è in attesa da anni di un alloggio regolare confidando nell’Ufficio Speciale Casa del Campidoglio. Non basta.

In pieno deficit comunale (mancano soldi per strade, scuole e nettezza urbana), Veltroni a metà luglio tira fuori dal bilancio persino due milioni di euro all’anno per pagare l’affitto a quelli di Action di un’intera palazzina privata in via Caltagirone. Iniziativa bocciata solamente in extremis nel corso di una furiosa seduta del consiglio comunale. Veltroni tace. A Roma la battaglia è per l’illegalità.

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