Roma

Roma: un trionfo di colori con l’arte d’età imperiale

IL CURATORE Eugenio La Rocca conferma: «Anche le sculture dell’epoca erano policrome. Era un’eredità della civiltà greca»

Roma: un trionfo di colori con l’arte d’età imperiale

Un lungo percorso in penombra «acceso» da più affreschi, che corre per epoche, ambienti e tecniche nel tentativo di descrivere l’evoluzione dello stile pittorico romano, o meglio della vera arte - tale la consideravano gli antichi - tra il II secolo a.C. e il IV d.C., lasciando che sia l’inattesa irruenza dei colori a raccontare funzione e valore di forme e soggetti, per far rivivere le illusioni prospettiche, oniriche e filosofiche che animavano le pareti delle domus romane, tra storia, sogno, simbolo e mito, violenza ed erotismo, architettura e scenografia. È il colore, nelle sue diverse tonalità e sfumature, da più dolci tinte pastello a rossi cupi e solenni, il motivo guida della mostra «Roma. La pittura di un Impero», che, a cura di Eugenio La Rocca e con l’allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli, alle Scuderie del Quirinale fino al 17 gennaio mira a far rivivere la pittura antica romana, tra arte ed emozione. In un susseguirsi di affreschi di diversa provenienza - tra le altre, Pompei, Ercolano, alcune ville capitoline e l’Egitto con i ritratti di El Fayyum - l’esposizione tenta di restituire l’atmosfera delle architetture romane, mettendo in evidenza temi e stile delle opere che le decoravano, ma soprattutto i relativi motivi e simboli come documento di vita e vitalità del mondo antico. I marmi bianchi, giunti fino a noi attraverso costruzioni e statue, rivelano così un passato policromo, illuminato da giochi di luce ed ombra, del quale, purtroppo il tempo, nella quasi totalità dei casi, ha cancellato le tracce. Inizialmente influenzati dal gusto greco, i romani affidarono alla pittura il compito di «proseguire» le suggestioni architettoniche, tra colonne e cariatidi, per arrivare poi a superarle, approdando a una decorazione scenografica con elementi realistici affiancati ad altri di fantasia, in cui il virtuosismo della finzione vinceva sul realismo nell’esaltazione della cultura del sogno. È quest’ultimo, nelle sue declinazioni, il tema più amato dai committenti. Su uno schema tradizionale ancora di matrice ellenica si inseriscono le ambizioni dei ricchi proprietari, desiderosi di ricreare intorno a sé atmosfere che invitino al piacere: le case degli uomini diventano «maschere» dei palazzi delle divinità, in una selezione di xenia, esempio antico di natura morta, paesaggi fantastici, banchetti, episodi del mito e scene di amori più o meno appassionati. Sarà questa vocazione «surrealista» tutta romana a liberare la pittura dal modello greco. Dagli affreschi di Villa della Farnesina a Roma a quelli di Villa di Boscotrecase, a Pompei, per la prima volta affiancati, il percorso si snoda attraverso oltre cento opere provenienti da musei nazionali ed internazionali, in una panoramica sui temi dell’antichità, che spazia tra peregrinazioni di Ulisse, episodi mitici, come Ercole e Telefo, composizioni concettuali, come le Nozze Aldobrandini, nudi sorpresi nell’intimità del talamo, lunette e decorazioni funebri, passando per la progressiva astrazione della pittura più popolare e la modernità di quella «compendiaria», sorta di impressionismo ante litteram. Un’attenzione particolare merita il ritratto, da affreschi, mosaici, opere su vetro - alcuni per la prima volta in Italia - alle tavole di El Fayyum realizzate a «encausto», ossia a cera fusa su tela di lino o tavola di tiglio, per coprire il volto dei defunti e dare alla morte una parvenza di vita. Era la pittura, infatti, secondo i romani, l’arte che, anche più della scultura, riusciva a «ritrarre» l’uomo, che fosse attraverso la fedele riproduzione della sua immagine o, invece, per contrasto, allontanandosene, rifuggendo dalla superficie per indagare l'animo, trascurando il comune orizzonte per guardare alle sorprese del cielo. Come pare ricordare la lunetta rinvenuta in via Ostiense, esposta quasi a conclusione del percorso, in cui «Prometeo plasma l’uomo alla presenza di Atena», ribadendolo sinolo di materia e forma, così la pittura elevava l'uomo portandolo dalla concretezza di colore e plasticità all'astrazione di spirito e pensiero.

E all’eternità.

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