Coronavirus, strutture in confusione: a Roma perse cartelle cliniche

Al Nomentana Hospital, a una quarantina di chilometri da Roma, ci sarebbero malati di coronavirus nella stessa stanza di chi contagiato ancora non è

Coronavirus, strutture in confusione: a Roma perse cartelle cliniche

Storie di ordinaria follia nella capitale al tempo del coronavirus. Come quella che arriva dal Nomentana Hospital. Qui ci sarebbero malati da Covid-19 nella stanza di chi contagiato ancora non era. Un dramma che nasce da un incredibile pasticcio combinato dalla sanità della Regione Lazio. La scorsa notte, scrive il Tempo, sono stati trasferiti lì 49 anziani che arrivavano dalla casa di riposo Maria Immacolata di Nerola. Ma nel passaggio da una struttura all’altra sono state smarrite le loro cartelle cliniche e quindi anche le informazioni sulla positività al virus dei singoli. La denuncia è partita dal sindaco del piccolo comune a una quarantina di chilometri da Roma.

In molte case di cura della regione purtroppo sono accaduti episodi simili. Come alla Giovanni XXIII di Roma, passata sotto il controllo diretto della sanità laziale dopo i primi malati da Covid-19. Il figlio di un ricoverato contagiato ha chiesto notizie del padre alle autorità sanitarie che avevano in mano la casa di cura: si è sentito rispondere che era stato trasferito al Covid 2 della Columbus. Non era così: l’uomo era morto la notte prima, ma nella casa di cura.

L’allarme e la paura possono far accadere cose strane davvero. I numeri dei contagi nel Lazio crescono ogni giorno come quelli purtroppo delle persone che non ce l’hanno fatta. All’anagrafe del comune di Roma da metà marzo i decessi registrati (anche se non classificati nelle cause) sono cresciuti di 15-20 al giorno rispetto al trend delle settimane precedenti. E di più ancora rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Ma non siamo affatto all’emergenza delle altre regioni e, se con numeri limitati la sanità regionale è già nel caos, figuriamoci quando quei numeri aumenteranno. Se aumenteranno. Poi un altro punto dolente. A differenza di altre regioni, in questa, si sono fatti pochissimi tamponi (cifre imparagonabili a quelle della Lombardia, del Veneto, del Piemonte e dell’Emilia Romagna). Gli unici a cui non si negano sono quelli effettuati ai personaggi noti, ma per i comuni cittadini non c’è possibilità di effettuare test nemmeno quando si avvertono i primi sintomi del virus.

Il risultato? L’intervento delle autorità sanitarie rischia di essere tardivo. L’unica speranza è riposta nell’isolamento collettivo imposto dal governo. Speriamo abbia efficacia. È vero che le occasioni di contatto con altri sono assai rarefatte oggi. Ma comunque i pericoli si nascondono ad esempio nei supermercati, dove è impossibile evitare gli altri clienti cercando beni di prima necessità da mettere nei carrelli della spesa.

E il contagio esplode come un incendio in strutture chiuse dove i contatti inevitabilmente ci sono: case di cure, cliniche, conventi. Come abbiamo visto nei casi recenti di cronaca. Roma è nel pallone. E la confusione ha l’effetto devastante di aiutare il diffondersi del virus.

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