Coronavirus

"Mia madre è con gli infetti...". E nelle Rsa del Lazio è il caos

I familiari dei degenti della Rsa di Civitavecchia: "Anziani arrivati in ospedale denutriti e disitratati". La struttura è diventata un centro Covid, ma un figlio denuncia: "Mia madre si è negativizzata eppure resta al piano degli infetti"

"Mia madre è con gli infetti...". E nelle Rsa del Lazio è il caos

Non si dà pace Sonia, 45 anni. Suo padre è stato l'ultimo anziano ad essere ricoverato nella Rsa Madonna del Rosario di via Buonarroti, a Civitavecchia. I ricordi della donna sono nitidi. Li ripercorre uno ad uno, con la voce rotta dalla commozione e dal senso di colpa. Se suo papà fosse rimasto a casa, forse, sarebbe ancora vivo. "È entrato sulle sue gambe ed è uscito in barella". Il signor Pasqualino aveva 71 anni e da 10 lottava con l'Alzheimer. Una malattia che non conosce pietà, che cancella i ricordi e trasforma le persone. Pasqualino non comunicava più, era diventato irascibile e aggressivo. Da qui la sofferta decisione di affidarlo a mani esperte. "Ci siamo decisi perché papà era diventato violento, ed eravamo in costante apprensione per nostra madre, temevamo potesse farle del male", ricorda la donna. Lei e suo fratello accompagnano l'anziano in quello che, di lì a poco, si sarebbe trasformato in un girone infernale attorno alle 14.30 del 5 marzo. In quel momento la struttura era già chiusa a parenti e visitatori per via dell'emergenza Covid.

Sette giorni più tardi, dalla Rsa arriva la tragica comunicazione: "Vostro padre ha la febbre". Domenica Pasqualino si aggrava e viene ricoverato all'ospedale Gemelli di Roma. Le sue condizioni sono preoccupanti, non solo perché è risultato positivo al coronavirus. "È arrivato in ospedale in una condizione pietosa, i medici che lo hanno ricoverato - denuncia Sonia - ci hanno detto che era disidratato e denutrito". Sonia rimane interdetta, non sa cosa pensare. Non riesce a darsi spiegazioni. Il papà che ha lasciato non era così. "Era un uomo ancora in forze, in carne e ben piazzato". Il genitore si spegne in solitudine sabato 21. È passato un mese da allora, e la famiglia ancora attende di poter recuperare le sue ceneri. "Nel giro di una settimana ce lo hanno ammazzato", sbotta la donna. "Voglio sapere cosa è successo lì dentro, voglio giustizia per mio padre e per gli altri anziani", dice. Il sospetto è che il signor Pasqualino sia stato abbandonato a sé stesso.

Non è il solo degente della Madonna del Rosario ad essere arrivato in ospedale in condizioni disperate. La signora Agata, 82 anni, è stata ricoverata al San Paolo di Civitavecchia il 26 marzo. "Era in uno stato terribile", denuncia sua figlia Cristina. "Mi hanno detto che era disidratata, denutrita ed aveva una piaga da decubito sul coccige arrivata ormai al quarto stadio", ci spiega. "Il coronavirus se l'è portata via la notte di Pasqua", ricorda Cristina, che è stata allertata dell'epilogo imminente qualche ora prima. "Dall'ospedale ci hanno detto che non c'era più nulla da fare, e ci hanno permesso di rivederla per l'ultima volta con una videochiamata". Agata è ormai in fin di vita, batte solamente le palpebre. È l'unico modo che ha per contraccambiare le parole di affetto che le rivolge Cristina: "Le ho detto che l'amavo, che l'ho amata ogni singolo istante della mia vita, e che le ero profondamente grata perché è stata una madre fantastica". Sono attimi strazianti, che Cristina non ha ancora elaborato. Non c'è un corpo su cui piangere, una lapide dove potersi raccogliere in preghiera. E ci sono ancora troppe domande.

Anche sul caso della Rsa di Civitavecchia, adesso, indaga la procura, dopo che alcuni parenti dei ricoverati hanno presentato un esposto. "È innegabile che i primi giorni abbiamo avuto qualche disagio, ci è arrivata addosso questa tegola, parliamo di una pandemia, non di un virus influenzale", ribatte Rosalba Padroni, responsabile amministrativo della struttura. "C'è stato qualche momento di sbandamento perché la Asl aveva allontanato il personale risultato positivo, ma le risorse sono state subito sostituite e in quei giorni di caos la nostra priorità è stata quella di assistere i pazienti". "Ognuno può dire quello che vuole – taglia corto - noi diciamo che abbiamo fatto il nostro dovere, usando tutti i dispositivi possibili e chiudendo la struttura all’esterno dal 5 marzo".

I familiari però raccontano cose diverse. A parlare per tutti è Antonio, sua madre è ancora ricoverata nella Rsa che, il 24 marzo, è diventata un centro Covid a bassa intensità. "Dopo la chiusura del centro - ripercorre il portavoce dei parenti - alcuni di noi sono entrati ed hanno potuto appurare con i loro occhi che il personale sanitario non indossava i dispositivi di protezione individuale". In particolare, Antonio, fa riferimento ad un incontro con il direttore sanitario avvenuto il 9 marzo. "Il direttore non indossava la mascherina ed ha raccontato ai parenti di sentirsi poco bene, guarda caso qualche giorno dopo è risultato positivo al Covid". Il primo decesso risale invece all'11. Stando a quello che hanno potuto ricostruire i parenti, la vittima era stata trasportata all'ospedale di Civitavecchia il 9 marzo. Quando vengono fatti i tamponi a tutti gli ospiti della struttura e al personale però è già il 19. L'esito è drammatico: 37 degenti su 55 sono stati infettati, mentre tra medici e infermieri i casi di positività sono 16 su 39.

"Noi contestiamo la gestione dell'emergenza, il primo degente è stato ricoverato il 9, dovevano mettere in campo subito delle misure di prevenzione drastiche, invece prima di fare i tamponi a tutti ci hanno messo dieci giorni", spiega Antonio. La decimazione del personale, inoltre, solleva un sospetto in più. "Forse è proprio nella carenza del personale - ipotizzano le famiglie - la risposta al perché i nostri genitori siano arrivati in ospedale denutriti e disidratati". "Sappiamo con certezza che fino al 26 marzo, dalla Asl Roma 4, non sono arrivati rinforzi", annota Antonio. Circostanza, questa, confermata anche dall'avvocato Padroni: "La Asl non ha mai inviato personale medico o infermieristico, neppure dopo che siamo diventati centro Covid". "Ma – assicura – abbiamo provveduto noi ad assumere personale per far fronte all'emergenza".

Secondo i parenti, invece, il personale è rimasto sottodimensionato almeno sino alla fine di marzo. E così, i pochi medici e infermieri ancora in campo si sono visti costretti a gestire sia i pazienti positivi, collocati ai primi due piani della struttura, che quelli negativi (16) sistemati al terzo. Una situazione che potrebbe essere stata fatale per gli anziani scampati al coronavirus. "Nella struttura c'è un solo ascensore, una sola rampa di scale, una sola cucina, come fai ad isolare veramente i positivi?", si domanda Antonio. Il 23 marzo, quando arrivano le risposte della seconda tranche di tamponi, si scopre che tra i 16 negativi si sono positivizzati in 5. Ed oggi la situazione nel centro Covid di via Buonarroti desta ancora preoccupazione. "Quattro giorni fa ci hanno comunicato che mia madre si è finalmente negativizzata, per confermare il risultato le avrebbero dovuto fare un secondo tampone nel giro di 24 ore, ma ancora non hanno provveduto e lei continua a stare al primo piano assieme agli infetti, è una follia", racconta allarmato Antonio.

Ce n'è abbastanza per togliere il sonno a lui, Sonia, Cristina e a tutti gli altri parenti che, adesso, chiedono verità e giustizia.

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