Infermiere rischia il posto di lavoro: "Ci chiamano eroi ma poi ci mandano a casa"

All'ospedale Santa Maria Goretti di Latina 30 infermieri che curano i pazienti affetti da coronavirus rischiano il posto di lavoro. Lo sfogo di uno di loro: "Ci chiamano eroi, ma per loro siamo soltanto dei numeri"

Infermiere rischia il posto di lavoro: "Ci chiamano eroi ma poi ci mandano a casa"

"Siamo stanchi della propaganda, non abbiamo bisogno di ringraziamenti ma di certezze". Igor Vannoli, 42 anni, si prepara per il turno di notte nel reparto di terapia intensiva al Santa Maria Goretti di Latina, uno degli ospedali Covid-19 del Lazio. È uno degli eroi di questa emergenza. Uno di quelli che mettono i cerotti sul viso per evitare che la mascherina gli laceri la carne. Lui si definisce semplicemente "un infermiere" a cui spetta il compito più duro: seguire i pazienti intubati. Quelli che sono sospesi tra la vita e la morte. Ed è sospeso anche lui.

"Il 24 maggio mi mandano a casa", dice amareggiato. Perché al di là della retorica e delle belle parole, lui, è soltanto un precario. E non ci sono sforzi, sacrifici e rischi che lo possono riscattare. "Non vedo mia moglie e mio figlio da un mese, me ne sono andato di casa - racconta - per metterli al riparo dai rischi connessi alla mia professione". Adesso vive con un collega, e la sua quotidianità è scandita da turni massacranti e paura. "Psicologicamente è un'esperienza devastante, nonostante i dispositivi di protezione individuale, il timore di esser contagiati ci accompagna sempre", spiega. E poi ci sono loro, i malati, assediati da un virus sconosciuto e insidioso. "Il cammino verso la guarigione è lungo e accidentato, il quadro clinico dei pazienti affetti da coronavirus è mutevole e da un momento all'altro può precipitare". Ma c'è anche chi si risveglia. E ogni anima strappata alle macchine è una conquista. "Quando svezziamo i pazienti dal ventilatore e cominciamo ad avere con loro un minimo di interazione è un'emozione indescrivibile, è il coronamento del nostro sacrificio, è il senso del nostro lavoro", racconta commosso.

Nonostante tutta la dedizione che ci mette, il suo futuro è in bilico. Non è il solo: "Siamo in trenta a rischiare il posto di lavoro". La notizia è arrivata lo scorso lunedì. "Dalla dirigenza ci hanno fatto sapere che non ci rinnoveranno il contratto, non c'è più possibilità di prorogarlo perché - spiega - abbiamo superato i trentasei mesi continuativi di lavoro nella stessa azienda pubblica". Quando Igor si è ritrovato a fronteggiare l'emergenza sanitaria non si aspettava certo una medaglia, ma neppure di perdere il lavoro. Ed è per questo che è allergico a encomi e ringraziamenti. "Sono solo chiacchiere, ipocrisie, ci chiamano eroi ma in realtà - si sfoga - siamo soltanto dei numeri". Uno vale uno. Igor verrà presto rimpiazzato da un nuovo collega, attinto da una graduatoria e proiettato in reparto senza un minimo di esperienza.

L'Italia è un Paese strano. È così che ripaga i suoi eroi. "Noi siamo una famiglia monoreddito, a casa guadagno solo io, senza il mio stipendio sarebbe una tragedia", spiega il quarantaduenne. "Mi appello al premier Giuseppe Conte e al governatore Zingaretti, se ci hanno veramente a cuore come dicono, dovrebbero intervenire disponendo una proroga del nostro contratto, questo - conclude - è il più bel ringraziamento che possiamo ricevere".

Sulla questione è intervenuto anche Francesco Zicchieri, vicecapogruppo della Lega alla Camera: "Cari Conte e Zingaretti - scrive - attivatevi immediatamente affinché questi eroi continuino a lavorare, si sono guadagnati sul campo la stabilizzazione".

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