Cronaca locale

La mamma di Pamela si commuove in aula: "Aveva denunciato l'ex fidanzato e sperava di salvarla"

Chiesta una condanna a sei anni e sei mesi per l'ex fidanzato pusher di Pamela Mastropietro. L'avvocato della famiglia: "È stata dura per i genitori ripercorrere quei momenti, lo avevano denunciato e speravano di salvarla"

La mamma di Pamela si commuove in aula: "Aveva denunciato l'ex fidanzato e sperava di salvarla"

"Un altro passo importante verso la giustizia", così Marco Valerio Verni, il legale della famiglia di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa e fatta a pezzi due anni fa a Macerata, commenta la decisione della procura di Roma, che ha chiesto la condanna a sei anni e sei mesi per l'ex fidanzato della ragazza, Andrei Claudiu Nitu.

Per i pm la condotta del giovane di origine romene sarebbe stata determinante nel far precipitare Pamela nell’abisso della dipendenza che l’ha portata fino alla comunità Pars di Corridonia. La stessa da cui si allontanò qualche giorno prima di incontrare il suo carnefice. È stato Andrei nel settembre del 2016, si legge sul Messaggero, che riporta le parole del pubblico ministero Maria Teresa Gerace, a mettere l’eroina nelle sigarette di Pamela, spingendo la ragazza verso la droga.

Approfittando del carattere fragile e del disturbo borderline della personalità della 18enne del quartiere Appio Latino, Nitu, anche lui tossicodipendente, aveva insistito con Pamela perché si concedesse ad un pusher per ricevere in cambio qualche dose di polvere bianca. Il piano fallisce soltanto perché la ragazza si rifiuta categoricamente. Sempre il giovane romeno le chiederà poi di rubare oggetti in casa dei genitori, per poi venderli e ricavare denaro per comprare l’eroina.

Pamela si fidava di lui, accecata dall’amore e rapita dal fascino di quel ragazzo con i tatuaggi e il fare da bullo, conosciuto a piazza Re di Roma. I genitori però si erano accorti chiaramente di come Andrei stesse approfittando della figlia. Per questo mamma Alessandra lo denuncia. Partono le indagini e nel 2017 il diciannovenne viene arrestato per aver rapinato, armato di coltello, sette ragazzini nel quartiere San Giovanni e finisce ai domiciliari.

Ma l’interruzione della relazione fra i due, purtroppo, non servirà a salvare la ragazza che nel frattempo è già schiava dell’eroina. Frequenta il Sert e dopo poco partirà per le Marche dove avrebbe dovuto intraprendere un percorso per disintossicarsi. Il resto è cronaca. Quella di uno dei delitti più efferati che si siano consumati nel nostro Paese, per cui è stato condannato all’ergastolo Innocent Oseghale.

Per la sentenza bisognerà aspettare la prossima udienza, il 24 marzo. "Siamo fiduciosi", ha detto l’avvocato della famiglia Mastropietro, ringraziando la pm per aver trattato Pamela "con molta umanità in un processo che ha riguardato una parte molto dolorosa della sua vita e di quella dei suoi familiari, prima del tragico e demoniaco epilogo di Macerata".

"La madre era presente in aula, con la proverbiale compostezza che la ha contraddistinta in tutto il processo Oseghale, nonostante la commozione palpabile e a tratti evidente", ha raccontato Verni al Giornale.it. "È chiaro – ha aggiunto – che per i genitori è stato pesante ripercorrere momenti dolorosi in cui si alternava la speranza di poter recuperare Pamela, sorreggendola nella sua fragilità, alla drammaticità della realtà in cui un ruolo importante ha avuto, certamente in negativo, Nitu".

Per i pm il giovane romeno deve rispondere di "cessione di sostanze stupefacenti, induzione alla prostituzione e circonvenzione di incapace".

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