Cronaca locale

"Dategli almeno dell'acqua" Il girone dei dannati del Covid

Le immagini choc che arrivano dal pronto soccorso dell'ospedale Sant'Eugenio di Roma mostrano sale Covid sovraffollate, decine di barelle accalcate nei corridoi e in sala di attesa. E così anche i percorsi protetti rischiano di inquinarsi

"Dategli almeno dell'acqua" Il girone dei dannati del Covid

"Mio marito non beve dalle undici di questa mattina". Madre e figlio si sorreggono a vicenda, sono pallidi e frastornati. Si sono precipitati all’ospedale Sant’Eugenio non appena hanno potuto. Ora sostano all'ingresso del pronto soccorso in cerca di spiegazioni. Sono passate più di otto ore dal ricovero di quell’uomo, come è possibile che non gli abbiano ancora dato neppure un bicchiere d’acqua? "Adesso entro lì dentro e mi sentono", dice il ragazzo. Sua madre scuote la testa. "Sapere mio marito abbandonato a sé stesso con un femore rotto non mi fa stare affatto tranquilla".

Come darle torto? È stato l'anziano ad allertare i familiari con una telefonata. "Per fortuna ha con sé il cellulare – spiega la donna – e ci ha potuto chiedere aiuto, ci ha implorarti di portargli qualcosa da bere". "Lo hanno parcheggiato su una lettiga in corridoio – continua la donna – perché in sala non c’è più spazio". I due spariscono al di là delle porte scorrevoli. Le ambulanze vanno e vengono. A bordo ci sono altri disgraziati, altra gente che dovrà attendere ore anche soltanto per un bicchiere d’acqua.

"Il pronto soccorso è al collasso, sembra il girone dei dannati", denuncia Laura Rita Santoro, infermiera e responsabile del Nursing Up Lazio. I problemi vanno avanti già da un paio di settimane. E così dal sindacato infermieristico hanno preso carta e penna, diffidando la Asl Roma 2 "a intervenire per la risoluzione celere e totale delle gravissime criticità evidenziate". Nero su bianco nella richiesta di intervento c’è la cronaca asciutta di queste settimane di passione, corredata da una serie di scatti che lasciano davvero poco spazio alle congetture.

A partire dalla Sala emergenza, concepita per accogliere un massimo di tre pazienti, nei giorni di piena arriva ad ospitarne il doppio. La situazione è ancora più critica nella Sala Covid 1 che è arrivata a contenere fino a ventidue persone, pur essendo omologata da otto. "In queste condizioni – denuncia la sindacalista – non è possibile garantire il distanziamento di almeno un metro tra i pazienti, né la sicurezza degli operatori durante le manovre di routine e lo spazio necessario per eseguire quelle rianimatorie".

Le cose non vanno meglio nella Sala Covid 2, dove le postazioni sarebbero otto ma i pazienti effettivi arrivano anche al doppio e "usufruiscono dei servizi igienici posti lungo il corridoio al di fuori della stanza". Per non parlare di chi rimane fuori dai locali, in attesa a bordo delle auto private o delle stesse ambulanze. Nelle stanze preposte all’accoglienza dei sospetti Covid, inoltre, non c’è "un idoneo sistema di areazione per malattie infettive" perciò l’unico modo per arieggiare gli ambienti è aprire le finestre. Insomma, la promiscuità qui sembra essere una costante.

Nella Sala Covid 3 "non esiste una zona dedicata al lavaggio delle mani dell’operatore". Inoltre, "i pazienti Covid che devono eseguire esami strumentali presso il dipartimento di radiologia devono passare per il corridoio comune, lo stesso dove stanziano i pazienti Covid". Una situazione difficile da credere. È come se l’esperienza dei mesi bui della prima ondata non ci avesse insegnato nulla. E nessun beneficio sembra aver prodotto l’aumento dei posti letto negli ospedali laziali. "Non sta a noi stabilire quali siano le soluzioni, quello semmai spetterebbe alla politica, il nostro compito è curare i malati, e vorremmo esser messi nella condizione di farlo senza rischiare di ammalarci", racconta la sindacalista.

"Molti colleghi hanno lasciato le proprie case e vivono lontani dai propri cari per paura di contagiarli, umanamente è molto dura", continua l’infermiera. E adesso non arrivano neppure più il calore e la riconoscenza della gente. "Le risorse umane non bastano per dare assistenza a tutti", si sfoga Laura. Allora bisogna scegliere: "Se c’è un paziente che va ventilato, purtroppo il cambio del pannolone o il bicchiere d’acqua vengono meno, e questo genera rabbia e frustrazione nelle persone che se la prendono con noi". "Prima ci chiamavano eroi – conclude l’infermiera – oggi siamo tornati ad essere dei bersagli, diversi colleghi sono stati aggrediti nelle ultime settimane, compresa la sottoscritta".

Le immagini del Sant’Eugenio, rilanciate da il quotidiano Il Tempo, hanno destato rabbia e indignazione. Tanto che Fabrizio Ghera, consigliere ragionale di Fratelli d’Italia, ha presentato un’interrogazione al governatore Nicola Zingaretti sollecitandolo "ad assumere gli opportuni provvedimenti nei confronti dei vertici aziendali responsabili della programmazione e gestione dei servizi". "Le foto scattate dentro al Sant’Eugenio hanno sconvolto l’opinione pubblica – annota con amarezza Stefano Barone, segretario provinciale del Nursind – ma non sono certo un fatto eccezionale, noi addetti ai lavori sappiamo bene che realtà simili si trovano anche in altri ospedali romani".

Ieri la Regione Lazio ha deciso di stanziare 9,8 milioni di euro per l'ampliamento del pronto soccorso dei diversi nosocomi di Roma e provincia, tra cui il Sant'Eugenio, il Pertini, il San Giovanni Addolorata e l'ospedale di Velletri.

All'ospedale dell'Eur, dove si sono verificati i disagi in questi giorni, andranno 3 milioni di euro.

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