Politica

Romano: se cado io si vota Mastella frena: e Ciampi?

Al candidato premier negata anche ogni delega in bianco sulla scelta dei ministri

Laura Cesaretti

da Roma

«Caro Romano, capisco la tua preoccupazione di evitare che gli alleati ti fottano di nuovo, e quindi facciamo pure ’sto patto. Ma vorrei ricordare che le elezioni anticipate le decide comunque il capo dello Stato». Come al solito, il meno diplomatico è stato Clemente Mastella. Ma anche dagli altri segretari dell’Unione sono arrivati distinguo e correzioni di fronte alla richiesta di un «patto di legislatura» avanzata dal Professore. Che, memore dell’esperienza dolorosa del suo primo governo, caduto per un voto e sostituito in corsa da Massimo D’Alema, ha chiesto a tutti i partiti di sottoscrivere un impegno preciso: «Se il mio governo cade, si va ad elezioni». Solo che, per l’appunto, allo stato le Camere le scioglie il presidente della Repubblica. «Il premierato forte, quello che dà al premier il potere di scioglimento, è una proposta della Cdl contro cui abbiamo fatto le barricate», ha obiettato qualcuno. «Se sottoscriviamo un testo di questo tenore facciamo uno sgarbo a Ciampi e si apre una diatriba senza fine», ha avvertito qualcun altro. Così, lima che ti lima, alla fine è stata messa a punto una versione più soft, secondo la quale i partiti si impegnano a «presentare al capo dello Stato come unico candidato dell’Unione alla carica di presidente del Consiglio la persona che sarà stata scelta con le primarie», come ha annunciato Prodi ai cronisti.
I partiti, in ogni caso, si sono ripresi un ruolo centrale nella gestione della coalizione: «Tutte le forze politiche saranno presenti nell’area di governo», si è impegnato ad esempio il Professore, su precisa richiesta di alcuni partecipanti (Mastella, ad esempio, lo ha avvertito che non vuol ritrovarsi titolare del «ministero per gli Ottuagenari all’Estero»). Il che vuole dire che anche sulla formazione del governo, come sulle candidature e la spartizione dei collegi, il premier in pectore non avrà deleghe in bianco. Il cosiddetto «tavolo delle regole» vedrà presenti tutti i segretari e le decisioni passeranno al loro vaglio. Prodi avrà l’ultima parola solo sui collegi «incerti». «Abbiamo chiesto che le primarie non abbiano alcuna influenza sui rapporti di forza interni», spiegano i Verdi. Tradotto, significa che un eventuale successo di Bertinotti alle primarie non avrà ripercussioni sulla distribuzione delle candidature. Sulle primarie, tutti d’accordo che debbano essere «vere e popolari», come ha detto Rutelli. Le regole verranno stabilite dal gruppo di lavoro affidato a Parisi, ma i Ds hanno messo il loro Chiti a marcarlo stretto: «Visto che toccherà a noi tutto lo sforzo organizzativo, compreso quello di portare la gente alle urne e di fargli scrivere Prodi sulla scheda, vorremmo evitare strane alchimie», spiegano nella Quercia. I candidati alle primarie dovranno presentare una sorta di piattaforma programmatica, e Prodi ha annunciato che la sua sta già nel famoso «manifesto di Creta». Tolta, si suppone, la parte dove si parla di liste e gruppi unici. Il tramonto dell’Ulivo comporta comunque che il leader non avrà una forza nella quale candidarsi nel proporzionale, tanto che qualcuno ipotizza che Prodi si presenti solo al Senato, dove non ci sono liste di partito. «La situazione economica che troveremo richiederà scelte nette e pesanti», ha anticipato al vertice. «Sì, ma niente lacrime e sangue», lo ha subito avvertito Bertinotti.

Lasciando presagire che il braccio di ferro è solo cominciato.

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