Ronnie Jones punta tutto sull’easy soul

Antonio Lodetti

Quasi 70 anni ma non li dimostra; fisico imponente, voce calda e fremente, voglia di divertirsi con un pizzico di emozione. Così Ronnie Jones è tornato - dopo vent’anni di assenza discografica - con il nuovo cd Again (tra gli ospiti Billy Cobham, il chitarrista dei Toto Steve Lukather, il trombettista Fabrizio Bosso) e l’ha festeggiato in concerto domenica sera al Blue Note di Milano. Strano personaggio Jones; nato in America si fa conoscere sulla scena blues inglese anni 60, scoperto dal mitico chitarrista Alexis Korner è poi diventato famoso in Italia come dj radiofonico e televisivo (il suo programma Pop corn era un classico). Come cantante, altalenando tra soul e disco (tra i suoi successi in hit parade Rock Your Baby e il tormentone Video Game). Ora, con una band italiana di sei elementi, torna al soul, un soul ammiccante, con venature ballabili, che predilige il divertimento all’emozione, ma che soprattutto dal vivo è estremamente godibile.

Scrive nuovi brani (il migliore è Drown In My Own Sea) ma soprattutto rilegge alla sua maniera un repertorio vastissimo (troppo) che lega nel nome della ballata funky soul James Taylor (How Sweet It Is è il pezzo d’apertura), il grande «swamper» Tony Joe White (bellissima versione di Rainy Night In Georgia), Nina Simone (una versione lunghissima e scatenata del superclassico Don’t Let Me Be Misunderstood), Stevie Wonder (Ain’t Superstitious) passando per il suo hit Wake Up Reggae (inutile e fuori luogo lo stacchetto di No Woman No Cry). Mille suoni e mille profumi in uno show che non farà impazzire i puristi ma fa trascorrere un paio d’ore di buon «easy soul».

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