Milano, anni Quaranta. Ci vuole coraggio, con la guerra che incombe, a progettare unavventura editoriale che voglia rappresentare unapertura verso le nuove tendenze della cultura italiana ed europea. Una casa editrice che focalizzi la sua attenzione su ambiti come il teatro, innanzi tutto, ma anche la musica, la saggistica e la critica darte. Il tutto facendo i conti con la censura fascista e poi, quando lattività entra nel vivo, anche con le bombe e con i disagi della quotidianità durante il conflitto: reperimento della carta, contatti con i tipografi ancora in attività, sfollamenti, difficoltà economiche.
Eppure è quanto realizzano due intellettuali milanesi: Achille Rosa, imprenditore di una piccola industria di filati serici, e lallora suo amministratore Ferdinando Ballo, critico musicale. Attorno a loro si forma un cenacolo di artisti e studiosi che sentono la necessità di aprire le porte al «dopo», cioè al momento in cui la guerra finirà e si dovranno porre le basi per la società nuova. Uno dei principali funzionari della piccola Casa, che dai suoi fondatori prende il nome, è Paolo Grassi che cura due collane di opere teatrali «Teatro moderno» e «Teatro», la prima propone opere di autori contemporanei (è di questa collana la prima edizione italiana dellOpera da tre soldi di Brecht), la seconda autori che di questa epoca hanno posto le basi (Ibsen, ad esempio, o Buchner, o Becque). Ballo invece si assicura la collaborazione di musicisti come Petrassi, Gavazzeni, Pizzetti. Il primo volume edito sarà Cento anni di musica sinfonica, di Massimo Mila, ancora oggi un testo fondamentale per ogni appassionato di musica classica. Si pubblicano anche testi stranieri, grazie a traduttori come Carlo Linati o Ervino Pocar, in una prospettiva già europea, in contrasto con le ideologie del fascismo.
Ma si sa. Milano ha vissuto intorno alla guerra un periodo di vitalità artistica come poche altre città. Al Caffè Craja, in piazza Filodrammatici, come pure nei gruppi culturali sorti intorno a gallerie darte come «Il Milione» o, più tardi, «LAnnunciata», sono passati tutti i maggiori artisti del tempo, da Raffaello Giolli ad Alfonso Gatto a Carlo Carrà. In mezzo a questi intellettuali (tutti in diversa misura collaboratori della Rosa e Ballo) era possibile incontrare anche i due editori, o i loro più diretti collaboratori (in particolare Giulia Veronesi, critico darte e di architettura, che tanta energia spese nella fase di progettazione delle attività) che prendevano contatti, discutevano, pianificavano. Nessuno si faceva spaventare della situazione che stava precipitando verso la catastrofe. E le pubblicazioni iniziarono. Nel 1942. Sotto le bombe che devastavano la città.
Non durò a lungo, questa esaltante avventura, solo fino al 1949, ma certamente questi pionieri delleditoria hanno aperto una via che sarà poi battuta dagli editori maggiori. E oggi hanno lasciato, oltre ai 93 volumi editi, suddivisi in nove collane, un patrimonio di carte, lettere, contratti che testimoniano una vitalità e una progettualità che ha coinvolto tutto lambiente milanese e non solo. Tra in nomi presenti nelle carte darchivio si segnalano Gadda, Soldati, Pratolini, Landolfi, Montale, Luzi. E lelenco sarebbe ancora lunghissimo.
Mercoledì prossimo, alla Biblioteca Braidense di Milano, si aprira la mostra documentaria «Un sogno editoriale: Rosa e Ballo nella Milano degli anni Quaranta», a cura di Stella Casiraghi (fino al 24 aprile) e promossa dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, che propone testimonianze della straordinaria attività della piccola casa editrice.
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