Rossella Falk, il gran teatro dell’eleganza

C’era una volta il teatro. Anzi c’è ancora, impersonato da una bella signora ottantenne che vive in uno splendido buen retiro sopra il teatro Eliseo a Roma. Stiamo parlando di Rosa Antonia Falzacappa - così registrata nell’atto di nascita - o Rosellina Falzacappa, quale fu nota nei suoi primi passi d’attrice. In arte Rossella Falk. L’ultima diva: come recita il titolo del libro che Enrico Groppali ha dedicato a questa protagonista della scena e della vita (pagg. 344, euro 18).
Forse è nostalgicamente riduttivo affermare che «c’era una volta il teatro». Registi e attori si prodigano con abnegazione, a volte anche con genialità, per arrestare la decadenza d’una magnifica forma d’arte che ha le sue radici nel profondo dei millenni. Un nobile sforzo, ma è un po’ come quello per frenare il declino del francese. L’inglese incalza, e nello spettacolo l’inglese è la televisione. Eppure vale la pena di battersi, senza speranza e nel nome dell’ideale, contro l’assediante marea della volgarità. In una Italia dove il linguaggio corrente - anche a livelli che dovrebbero essere dirigenziali - è quello delle intercettazioni telefoniche, occorre pur ristabilire proporzioni e gerarchie: e affermare che diva è Rossella Falk, non Loredana Lecciso in Al Bano, e nemmeno Simona Ventura.
Questa biografia - che è anche in buona sostanza un’autobiografia perché riflette confidenze e scambi di riflessioni tra il biografo e la biografata - percorre una stagione del teatro italiano che per motivi d’età ho vissuto, e che fu popolata di personalità eccezionali. La Falk vi ha avuto un ruolo molto particolare. Intanto perché non era una figlia d’arte (il padre colonnello e la madre appassionata di pattinaggio artistico). Poi perché la natura l’aveva dotata d’una bellezza enigmatica, alla Greta Garbo per dirlo banalmente ma con efficacia (le due divine, la svedese e l’italiana, avevano in comune, oltre agli zigomi, anche il numero di scarpe, 42). E ancora perché a differenza d’attori anche di prim’ordine, ma ignoranti ed egocentrici, Rossella era una poliglotta (traduceva dal russo e dall’inglese), una lettrice accanita, una ricercatrice di testi interessanti in Italia e all’estero.
Ricca per successivi matrimoni, aveva una mentalità e abitudini d’alta mondanità cosmopolita. Stravedeva per Tennessee Williams, era stata intima di Dirk Bogarde e Maria Callas, le era toccato l’onore di venire accolta - con il cerimoniale che lo star system hollywoodiano prevede - da Katharine Hepburn. Nella cultura italiana ha lasciato il segno. È stata musa del premio Strega e sostenitrice del Festival dei due mondi. Sulle qualità della sua recitazione non indugio, e rimando alle pagine del volume, esaurientissime (forse con qualche eccesso d’ammirazione incondizionata, ma in generale, si sa, i biografi sono innamorati dei loro soggetti). Ha avuto accanto a sé, o è stata accanto ai maggiori nomi del teatro italiano quando questo era una realtà davvero importante, e prima che grandi attori come Peppino De Filippo dovessero avvilirsi, perché così volevano il pubblico e l’inclita, con Pappagone e roba del genere.
La «Compagnia dei giovani» è sembrata a me l’ultimo prodigio del teatro italiano. Un prodigio vero, frutto di iniziativa, di capacità, di studio, di talento naturale, in cui il trio Falk-Valli-De Lullo funzionava splendidamente. Molto più prodigioso, lo sostengo a costo di sembrare blasfemo, delle regie carismatiche ma strasovvenzionate di Giorgio Strehler.

I «giovani» avevano del loro mestiere una concezione sacrale, a tal punto che Giorgio De Lullo si avventò sulla Falk, con male parole, quando seppe che voleva importare e interpretare un musical - un MUSICAL! - americano. Ruppero, poi Romolo Valli morì in un incidente stradale. De Lullo, disperato per averlo perduto, lo seguì dopo breve tempo. I giovani se ne andarono, per fortuna Rossella rimane.

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