Elsa Airoldi
Torna la Cenerentola di Ponnelle, quella nata a San Francisco nel 69 con Teresa Berganza. Sullonda della Rossini Renaissance Claudio Abbado e Jean-Pierre Ponnelle (regia, scene e costumi) avrebbero poi proposto alla Scala, uno dopo laltro, Il barbiere, che debutta nel 69 e arriva da Salisburgo, Cenerentola, presentata nel 73 e proviene da Firenze, Litaliana in Algeri, che apre la stagione 73/74. Un trittico che inaugura lepoca delle edizioni critiche: Alberto Zedda per Il barbiere e Cenerentola e Azio Corghi per Litaliana, la meno manomessa «dalluso». I tre titoli di successo avrebbero meritato anche lattenzione della cinematografia (Litaliana resta a livello progettuale per la scomparsa del regista). litaliana (1813), Il barbiere (1816) e Cenerentola (1817 ) paiono strettamente imparentati. Non fosse che per il ruolo della protagonista femminile consegnato, da Rossini che ama le voci calde e scure, al timbro del mezzosoprano. Lallestimento, nuovamente al Piermarini dopo le recite del 73, 74, 75, 82 e 2001 (sul podio, come oggi, Bruno Campanella), appare ancora insostituibile per la raffinatezza dei quadri a china in bianco e nero, il gioco di sipari infilati uno dentro laltro come scatole cinesi.
I momenti di comicità assoluta come il celebre concertato «questè un nodo avviluppato, questo è un gruppo rintrecciato» che il direttore deve sbalzare indugiando sulle erre arrotondate e forzate. E Ponnelle risolve con un surreale groviglio di braccia allusivo dellincomprensibile stravaganza della situazione che paralizza i personaggi. Dopo la Sinfonia il sipario si solleva sul quello che un tempo era il magnifico palazzo di Don Magnifico. Porte sgangherate, finestre miserande, sorellastre una di qua a fare il verso alla danza classica e una di là a imbianchettarsi il viso. Mentre Cenerentola tutta stracci apre con la sua malinconica ballata «Una volta cera un re». Il frastuono sveglia Don Magnifico che attacca la sua aria dentrata «Miei rampolli femminini». E basterebbe. Ma arriva il principe travestito da scudiero. Un afflato comico-sentimentale commenta il colpo di fulmine che paralizza i protagonisti. Arriva anche lo scudiero camuffato da principe. E dopo di lui Alidoro che, codice delle zitelle alla mano, controlla che le sorelle siano tre e non due come il padre vorrebbe far credere. Niente fate, zucche, cocchi, scarpina. Sostituita, lultima, da un bracciale che Cenerentola consegna allo scudiero-principe chiedendogli di cercarla e amarla per quella sguattera-principessa che è. Rossini, che deve rimediare lopera in una manciata di settimane, fa man bassa di se stesso. Ricorre alla consueta pratica della «parodia». In particolare saccheggia il recentissimo Barbiere, persino in alcuni stacchi del libretto «...zitti zitti, piano piano». Cenerentola entra nel catalogo rossiniano alla vigilia del definitivo abbandono al serio. Il momento di transizione accosta varie corde. Il comico, il sentimentale, il fiabesco, il realistico di alcune situazioni che concedono lirismo alle ansie amorose. La protagonista è un personaggio psicologicamente sfumato. La parola è ancora una volta la vera padrona. Ritmata, scandita, ripetuta, assennata, priva di senso, onomatopeica. La struttura è imponente, i caratteri prepotenti. La medietas difficile da trovare. Ma sul podio troviamo appunto un entusiasta Bruno Campanella. Una delle bacchette rossiniane più accreditate. Ed è lui a sottolineare il carattere belcantistico dellopera, ad aprire una parentesi sulla qualità di un tecnica vocale che si tramanda oralmente e lui stesso ha imparato da Rota. «Mi pare che anche lacustica della Scala sia molto migliorata, e non vedo lora di giudicarla con il teatro pieno». Poi un cruccio.
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