Il Rossini «in versione cinese» conquista il loggione

PesaroQual è il fascino delle riedizioni teatrali? La possibilità di verificare, alcuni anni dopo il debutto di uno spettacolo di successo, se la sua magia tiene ancora, nonostante il passare del tempo. Gli esigentissimi melomani del Rossini Opera Festival, dunque, attendevano il ritorno de Il conte Ory: del capolavoro rossiniano che nel 2003, per la regia di Lluis Pasqual, era stato accolto a Pesaro dal favore generale. Ma il ricordo è un’arma a doppio taglio. Rivedendolo oggi, ci si è resi conto che quel successo non fu tanto dovuto alla regia, quanto all'interpretazione del più acclamato tenore rossiniano del mondo: Juan Diego Florez. Il peso dell’arduo confronto, quindi, stavolta gravava sulle spalle del suo erede: il venticinquenne cinese Yijie Shi (nella foto); anche lui viene dall’Accademia Rossiniana, ma è distante anni luce dall'impagabile perizia di Florez. Un pubblico forse troppo esigente (di Florez ce n'è uno solo) ha accolto con freddezza il povero Shi. Il quale, con molta grinta ha superato assai bene la prova. Provvederà il tempo ad irrobustirne la voce e a limarne le puerilità sceniche (un’interpretazione un po’ bamboleggiante): i caldi applausi in cui s’è infine sciolta l’iniziale diffidenza del pubblico, ne sono la migliore promessa. Molto e meritatamente festeggiato anche il vigoroso virtuosismo di Laura Polverelli; impeccabili tanto Maria José Moreno quanto Lorenzo Regazzo; briosa la conduzione di Paolo Carignani.
Che privo della celebrità di Florez, stavolta lo spettacolo ha mostrato soprattutto le sue pecche. Con una felice intuizione infatti, Pasqual aveva dato corpo al brio tipicamente francese di questo spartito rossiniano immaginando che la leggenda medievale che ne è alla base fosse interpretata, come in un gioco di società, da una compagnia di ricchi e sfaccendati aristocratici anni 30. Un biliardo diventa così il torrione d’un castello; mantiglie e cotillon trasformano abiti da sera in costumi dell'anno mille.

Ma l’idea, funzionale ed elegante, non si sviluppa, non viene sostenuta fino alla fine; e invece di imprimere brio e vivacità manca, paradossalmente, proprio di animazione, di movimento. Alla fine il pubblico mostra di gradire comunque, e premia tutti, indistintamente. Anche il regista che, per un problema familiare, non può presentarsi agli applausi conclusivi.

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