Rosy, catechista e pasdaran «più bella che intelligente»

Francesco Cossiga, a ben vedere, anni fa disse ben di peggio: «Non accetto lezioni di etica politica dalla Bindi: è brutta, cattiva e cretina». Con una sola frase e tre insulti il presidente emerito seppe essere politicamente scorretto, misogino e sincero, a suo modo. In un’altra occasione, dentro un’aula parlamentare, Cossiga - che non si può dire abbia mai avuto un atteggiamento benevolo nei confronti della collega parlamentare Maria Rosaria «detta Rosy» Bindi - tentò di zittirla dicendo che preferiva Sharon Stone a lei. Senza imbarazzi né timori reverenziali, la Bindi alzò la voce facendo notare all’attempato senatore che nemmeno lui era Mickey Rourke. Dimostrando una scarsa conoscenza della storia del cinema, confondendosi con Kim Basinger, ma un indiscutibile senso dell’autoironia. Quando invece nel ’94 l’ex presidente della Repubblica, con una lettera esternata al Corriere della Sera, invitò Rosa Russo Iervolino e l’onorevole Bindi a restituire «dai fondi del Ppi i soldi “rubati” dalla Dc con Tangentopoli... invece di recitare la parte delle “vestali” dell’integrità morale e politica», si beccò una querela per diffamazione. Autoironica sì, vestale no.
Quando l’altra sera, a Porta a Porta, è stata lei invece a tentare di zittire il premier Berlusconi - leggermente innervosito per il Lodo Alfano - la mite giacobina si è beccata il peggior insulto che una donna possa augurarsi: «Sei più bella che intelligente», citazione di una storica battuta pronunciata da Vittorio Sgarbi nel 1993 in un dialogo con Mino Martinazzoli. Oltraggio che manderebbe in depressione persino Sharon Stone, figuriamoci...
Figuriamoci una politica navigata, pasionaria di lungo corso, ultrà cattolica avvezza a districarsi tra Mastella e i teodem, donna di potere che però preferisce, per sua ammissione, essere definita «donna di servizio», a servizio dei cittadini si intende. Figuriamoci come poteva reagire Rosy «la Guerriera»: alludendo con esprit de finesse alle discusse frequentazioni sessuali del premier, ha affilato la lingua come solo una toscana di Sinalunga può fare: «Io non sono una donna a Sua disposizione». Berlusconi, che notoriamente con le donne è un gran signore ma l’altra sera gli è proprio scappata, non ha ancora perdonato alla focosa vicepresidente della Camera la gaffe di quest’estate, quando volendo chiedere pubblicamente al premier di riferire in Parlamento a proposito dei celebri festini, invece di un «Ne parli in Parlamento» le scappò «Li faccia in Parlamento».
Splendida cinquantenne, 58 per la precisione, una vita che ha conosciuto più infatuazioni politiche (Dc, Partito popolare, Ulivo, Margherita, Pd) che amori fisici («La castità è una scelta che ho fatto con estrema serenità»), due volte ministro sulle poltrone notoriamente più scomode per un cattolico (Famiglia e Sanità), dura, ispida e intransigente, Rosy Bindi è riconosciuta da amici e nemici come l’essere più cocciuto, diretto e tagliente della politica italiana.
Morale squadrata con l’accetta come i suoi tailleur e lingua lunga in misura inversamente proporzionale ai capelli alla Sharone Stone, Rosy «la Candida» non le ha mai mandate a dire a nessuno, anche se oggi si offende per la battuta in diretta tv. Quando, dopo la fine della Dc, diventò segretaria del Partito popolare nel Veneto, anno 1994, durante un repulisti dei vecchi quadri del partito, fece fuori una dirigente che le chiedeva infuriata i motivi del licenziamento con un irripetibile: «Perché sei una p...a rotta». In una riunione dello stesso Partito popolare, invece, fu quasi strangolata da una collega, poco incline a sopportare il carattere litigioso della religiosissima ma aggressiva valchiria. Fu salvata, riferiscono le cronache, da Rocco Buttiglione. Anche i filosofi hanno un’anima.
E anche le nubili hanno le loro debolezze. Non ha mai imparato a truccarsi, ma non trova la cosa una lacuna. In borsetta porta sempre il rosario ma mai il rossetto. Detesta mettersi in posa nelle foto ufficiali ma si tiene da anni rigorosamente a dieta. Mai passata neppure una volta da Capalbio alle cui spiagge engagé ha sempre preferito cattolicamente le Dolomiti di Borca. Portata a mettere in pratica le encicliche invece che citarle. E ad arrabbiarsi invece che sopportare cristianamente. Devota e ubbidiente ma pronta - la chiamano Giovanna d’Arco - ad alzare la testa contro i privilegi dei «baroni» nella sanità e contro la dottrina dei vescovi sui Dico e la pillola abortiva. Con molto coraggio nel primo caso, con qualche contraddizione nel secondo.
Testa alta e scarpe basse, la prima volta che abbiamo visto Rosy Bindi in tv in una trasmissione importante, con una camicia di seta color albicocca e i capelli sale-pepe freschi di parrucchiere, appariva la ministra più schiva e serafica del primo governo Prodi. Ultimamente, pur continuando a vestirsi male per civetteria, ci sembra l’oppositrice più accesa e irritata del quarto governo Berlusconi.

Ci ingannava quell’aria da mite catechista, si è rivelata una temibile pasdaran. Tanto fiera - ne siamo sicuri - da saper superare anche la battuta infelice dell’altro ieri. A rimediare la quale - temiamo però - questa volta non basterà un mazzo di Rosy.

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