Rotto in Europa l’asse socialista a base di affari

da Roma

Per avere un’idea di quelli che saranno i rapporti della Francia di Sarkozy e l’Europa è sufficiente leggere il comunicato diramato dal Granducato di Lussemburgo al termine della telefonata del neopresidente francese con il primo ministro di Lussemburgo, Jean Claude Juncker. I due uomini di governo concordano sulla necessità di «sbloccare la situazione» del trattato costituzionale.
Juncker, oltre ad essere primo ministro del Granducato e ministro dell’Economia, è anche presidente dell’Eurogruppo. Mutatis mutandis è come se Sarkozy avesse parlato con Padoa-Schioppa di riforme istituzionali. In altre parole, il neoinquilino dell’Eliseo ha voluto affrontare con il «vicino» argomenti politici «rarefatti»; anzichè scendere nel dettaglio di quelle che sono le idee di Sarkozy in materia economica europea. Non sono proprio «ortodosse» in chiave di euro-galateo, a partire dalla sua richiesta di un maggior contributo della Banca centrale alla crescita del Continente; quindi, un allentamento della politica monetaria a favore di quella per lo sviluppo. Insomma, vorrebbe la Bce più vicina alla Federal Reserve che alla Bundesbank.
A Bruxelles Sarkozy se lo ricordano bene. Più come ministro delle Finanze che come ministro degli Interni. Benchè all’epoca Parigi fosse ancora sotto procedura d’infrazione, il Sarkozy-ministro dettava legge nei consigli Ecofin (presieduti proprio da Juncker). Oppure li snobbava. Come durante la presidenza di turno britannica: partecipava alle riunioni dell’Eurogruppo (dove gli inglesi non sono presenti) e partiva il giorno dell’Ecofin, presieduto da Gordon Brown. E con questo atteggiamento ottenne il via libera della Commissione a introdurre misure straordinarie di riduzione dell’Iva sugli pneumatici e sulla benzina: prime scintille che contribuirono ad accendere l’economia francese.
Ma se Sarkozy rappresenterà un problema per il galateo europeo (e non solo per il galateo), sarà anche un «cuneo» - non solo geografico - nell’eurosocialismo degli affari, stretto fra l’Italia di Prodi e la Spagna di Zapatero. Un rapporto privilegiato e suggellato dal vertice di Ibiza. Questo eurosocialismo del business si è concretizzato con il rafforzamento dell’Enel in Spagna (diventerà il primo azionista di Endesa) e con l’ingresso di Telefonica in Italia (diventerà il primo azionista di Telecom, con l’acquisizione del 42% di Olimpia: pari al 6,9% - dice El Pais - di Telecom).
A questo punto è assai probabile che l’ingresso di Sarkozy all’Eliseo rallenti l’afflato della Commissione verso l’apertura del mercato dell’energia elettrica e del gas. Così come è possibile che siano destinati a finire in un cassetto i progetti delle liberalizzazioni delle reti. Già oggi la Francia ha disatteso tutte le direttive europee sull’argomento. Ma è probabile che Sarkozy faccia fare un passo indietro al principio della reciprocità: se io apro il mio mercato alle tue imprese, tu apri il tuo alle mie. Con la conseguenza che le imprese francesi potranno operare in chiave anche più aggressiva sul mercato europeo, sapendo che ancora più di prima avranno lo Stato alle spalle.
Nel suo primo discorso alla Nazione, Sarkozy ha detto: «Lancio agli africani un appello fraterno per dire che vogliamo aiutarli a vincere malattie, fame e povertà». È stato interpretato in chiave immigrazione. In realtà, il messaggio è rivolto a Londra, a Tony Blair. L’attuale premier britannico ha detto che, finito l’impegno politico, si dedicherà allo sviluppo del continente africano. Ed è proprio inglese l’iniziativa del G-7 sui vaccini. L’obbiettivo, oltre a essere umanitario, è anche economico: far diventare l’Africa un mercato per i prodotti inglesi.


Visto che la presenza francese nel continente africano non è inferiore a quella inglese, Sarkozy ha fatto capire al Regno Unito che anche lui considera l’Africa un potenziale mercato per le merci francesi. E che se Londra si prenota il business con Blair, la Parigi di Sarkozy non starà a guardare.

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