Rottura vicina: pronto il partito dell'ex leader An

La scissione del Pdl è vicina, manca solo la scintilla per la rottura tra Berlusconi e Fini. Solo Bossi e Tremonti frenano il Cavaliere: vogliono l’ok definitivo su manovra e federalismo prima della resa dei conti

Rottura vicina: pronto il partito dell'ex leader An

RomaOrmai si tratta solo di provocare la scintilla. Aspettare il momento giusto perché accada come a Sarajevo nel 1914 quando l’assassinio dell’erede al trono austro-ungarico provocò il patatrac. Ma quando premere il grilletto? Berlusconi è convinto che con Fini e i finiani ormai sia finita. Il presidente della Camera lo sta logorando e continuerà a farlo fino alla fine. Più scorre il tempo, poi, più Generazione Italia si organizza sul territorio e cerca di far proseliti, alleandosi alle frange più agguerrite della magistratura e alla stampa più forcaiola. Ogni giorno che passa la minoranza interna alza voce e bandiera del giustizialismo, dipingendo Pdl e governo come un cesto di mele marce. Peggio: a ottobre dell’anno prossimo scade il legittimo impedimento che «scuda» il premier dalle incursioni della magistratura e la stessa norma ora è al vaglio della Consulta che non è detto non la butti nel cestino. Arrivare a quella scadenza con i sabotatori in casa sarebbe un vero e proprio suicidio politico. Che fare, quindi? Fosse per lui, Berlusconi avrebbe già scelto la soluzione muscolare: strappo subito, costi quel che costi.
A frenarlo pare siano stati sia Bossi che Tremonti. Il primo avrebbe detto al Cavaliere di aspettare ancora un po’. Per il leader della Lega, che lunedì scogli aveva garantito l’appoggio con quel «Io e te siamo autosufficienti», è troppo importante portare a casa qualcosa sui decreti attuativi del federalismo prima del possibile showdown. Il secondo, con il quale il premier s’è intrattenuto per circa tre quarti d’ora nella sala del governo a Montecitorio, gli avrebbe consigliato prudenza in nome dei conti pubblici. L’Europa ci guarda e in una condizione di difficoltà economica come questa aprire una possibile crisi in cui si sa come si entra ma non come se ne esce potrebbe essere pericoloso. La manovra correttiva prima di tutto, insomma. E poi la manovra finanziaria vera e propria, prevista entro la fine di settembre. Il che posticipa l’ormai inevitabile redde rationem all’autunno.
Ma come arrivare all’ormai necessaria scissione? Molte le ipotesi in campo: si va da una dichiarazione ufficiale, al Paese, per denunciare il «tradimento» del presidente della Camera (che però non provocherebbe l’uscita dal Pdl di Fini); a quella di un ufficio di presidenza da convocare domani o venerdì per «sfiduciare» Fini, non più super partes, e Granata, ultras forcaiolo. La più accreditata è quella di stilare un documento politico fortissimo che Fini e i suoi non potrebbero sottoscrivere senza rimangiarsi quanto sostenuto fino a oggi. Un atto irricevibile per Fini con la postilla «o così o sei fuori» per sbloccare lo stallo. È troppo evidente che al presidente della Camera giovi solamente la strategia del Vietnam, in attesa di qualche bordata della magistratura. Con la mossa del documento si costringerebbe l’avversario a buttare giù le carte.
Qui, tuttavia, c’è un annoso elemento di incertezza: Fini bluffa o no? Ossia: quante sono le sue truppe? In queste ore si ragiona col pallottoliere in mano. Il presidente di Montecitorio e i suoi sostengono di avere i numeri per mandare a casa il governo: «Alla Camera siamo 30-35», giurano. Oggi Pdl e Lega hanno 330 deputati: tolti i 30 frondisti, addio maggioranza. Analogo discorso in Senato dove basterebbero 12 finiani per mandare sotto l’attuale maggioranza. Anche a palazzo Madama i frondisti assicurano: «I numeri li abbiamo anche lì». Vero? Mistero. Di certo c’è che è stata rinviata una conferenza stampa prevista per oggi nella quale Generazione Italia di Italo Bocchino avrebbe dovuto presentare i numeri dell’associazione. Cifre che, però, avrebbero riguardato il loro peso sul territorio e non quello in Parlamento. Anche perché le truppe finiane sono tutt’altro che unite. Tra le loro fila inesorabilmente si annidano falchi e colombe. I primi sono ormai convinti che l’unica prospettiva sia lo strappo; le colombe, invece, continuano a sperare in una improbabile ricomposizione tra Berlusconi e Fini. I nomi di alcuni «rapaci» sono noti: i deputati Briguglio, Bongiorno, Granata, Lamorte, Perina, Raisi, Scalia e i senatori Saia, Valditara, Ramponi. Quelli più morbidi, che fino a ieri hanno svolto il ruolo di pontiere, annoverano Moffa, Viespoli, Ronchi, Augello. Parlamentari che, guarda caso, tutti o quasi ricoprono incarichi di governo o presiedono i lavori di qualche commissione e, qualora si andasse a sbattere, perderebbero anche la poltrona. Quanti alla fine sono disposti a «morire» per Fini è una domanda che arrovella entrambi gli schieramenti. A ciò si aggiunga che tra i finiani non siano tutte rose e fiori: Lamorte non può vedere Bocchino; Viespoli è stato contestato dai bocchiniani nella convention napoletana di Generazione Italia e Menia, ieri, in Aula s’è sfogato sotto il banco della presidenza. Presumibilmente lamentandosi dei due kamikaze Bocchino-Granata che, non è un mistero, non ama affatto.


E Fini? L’ultima mossa è un gesto distensivo, almeno nei riguardi del sottosegretario Mantovano, preso di mira dal pasdaran Granata. A quanto apprende l’Asca, il presidente della Camera ha telefonato all’ex An per ribadirgli «immutata stima e considerazione».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica