Economia

Roubini: «Impariamo la lezione»

nostro inviato a Cernobbio (Como)

Un lavoro maledettamente preciso, difficile, delicato. Come cucinare un soufflé. Lui, Nouriel Roubini, docente alla Stern Business School della New York University, non si è espresso proprio così, perché gli economisti non praticano scienze golose come la gastronomia. Ma il paragone ci sta tutto. La tempistica ideale per attuare la cosiddetta exit strategy dagli aiuti a sostegno dell'economia, è infatti un’arte che non ammette errori. Un minuto prima, o uno dopo, e nel "forno" resterà un disastro. Qualcosa dalla consistenza di medusa. Oppure di un non scalfibile sasso.
È stata questa la ricetta dettata ieri da Roubini alla prima giornata del 35° Workshop Ambrosetti di Villa d'Este. «Con le economie che appena ora iniziano a riprendersi, bisogna fare grande attenzione a quando interrompere gli stimoli fiscali. Non troppo presto, perché il rischio è di finire in una nuova recessione, come accadde al Giappone negli anni Ottanta o prima ancora agli Stati Uniti nel '37-'39 (quando Franklin Delano Roosvelt tagliò le spese e alzò le tasse, ndr)», ha spiegato Roubini, bocconiano dell'anno 2009, nonché uno dei rari economisti ad aver previsto questa crisi con buon anticipo. «Ma non bisogna intervenire nemmeno troppo tardi - ha aggiunto - perché con decifit elevati e banche centrali che battono moneta, si rischierebbero forte inflazione e l'aggravarsi degli interessi sul debito pubblico».
Roubini ha dettato anche la sua agenda ai governi, invitati «a legiferare il più presto possibile misure tendenti a ridurre la spesa pubblica. Pur se a mio avviso - ha aggiunto - l'adozione di misure di aumento fiscale dovrebbero essere rinviate fin verso la fine del 2010 o gli inizi del 2011».
Pur senza spandere ottimismo - «nei prossimi due anni vivremo una crescita anemica», così l'ha definita - l'economista ha tuttavia lamentato che il mondo non abbia «completamente imparato la lezione» dato che «troppi continuano a sperare che la crisi sia finita, che le condizioni del mercato finanziario siano buone e che le banche vadano bene». Circostanze che Roubini invece nega, pur prevedendo che la via d'uscita può essere considerata come «un impegno a medio termine».
Una lancia, Roubini l'ha poi spezzata in difesa della categoria, finita di recente nel mirino del nostro ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. «Oltre a me c'è una lunga lista di economisti che avevano sottolineato i rischi per la sostenibilità finanziaria delle politiche e dei bilanci. Ma la maggior parte delle persone non si è resa conto del problema, perché vivevamo in una bolla che è cresciuta e che poi è scoppiata. Pensavamo che le condizioni insostenibili sarebbero continuate». Purtroppo non è stato così e ora il pericolo, in America e nei Paesi più industrializzati, potrebbe chiamarsi «malessere sociale».

Figlio naturale, quanto bastardo, di una disoccupazione al galoppo verso il 10 per cento.

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