Roma - È ancora lei che apre la scena mentale di chi vuol capire quanto politica, sesso e potere ballino insieme, ora e sempre. Dai tempi del suo Portiere di notte, che le schiuse l’Olimpo mediatico internazionale, con vittima e carnefice allacciati in un patologico tango della Storia (e avevano le facce erotiche di Dirk Bogarde, il nazi, e di Charlotte Rampling, l’ebrea: trovali, oggi, due così), Liliana Cavani non molla, quanto a cinema e tivù talmente moderni da risultare classici. Ma insiste anzi, a fronte dei suoi settantasei anni portati con l’orgoglio operaio dell’emiliana di origini modeste che però ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta a mettere il giovane Mickey Rourke nudo nella neve come San Francesco; ce l’ha fatta a parlare di buddhismo (con Milarepa), quando non esisteva la new-age ed è riuscita a tenere testa ai soloni che nella tivù vedono l’Idra dalle sette teste, dando al piccolo schermo dignità e forza. Il «Ciak d’oro», adesso, si batte per la nostra Clint Eastwood eternamente in pantaloni, proprio come Callaghan: avanzando nell’età, Liliana Cavani rinvigorisce la propria produzione e detta legge (da giurata alla Mostra del Cinema di Venezia).
Cara Liliana Cavani, con quale spirito riceve il Ciak d’oro alla carriera?
«Lo accetto con grande piacere, come ogni regalo. E lo consegno al mio lavoro».
A Venezia siederà in giuria con Ang Lee: qual è la sua idea di cinema?
«La stessa idea che riguarda la narrativa in generale. Fare i giurati è un privilegio: si vedono molti film e tutti diversi, quindi ci si può aggiornare in modo ottimale. Sono stata giurata, a Berlino, nel 1979 e ne conservo un ricordo stimolante».
Rifarebbe oggi un «Portiere di notte», magari aggiornato ai tempi?
«Perché no? C’è ancora bisogno di riflettere sulla violenza della Storia. Poco tempo fa sono rimasta basita visitando, quasi per caso, una mostra al Vittoriano sull’effetto delle leggi razziali nell’Italia fascista. Un conto è quel che si sa sulla Germania hitleriana, un conto è quanto venne fatto da noi agli ebrei. E per decreto-legge».
Che cosa, in particolare, l’ha colpita?
«Che non ci fosse quasi nessuno, a quella mostra. Ho chiesto al custode: “Ma qui ci portano le scolaresche?”. “Qualche volta, poco”, è stata la risposta. Ci sono ancora molti sospesi con la Storia. Soprattutto con la questione razziale».
Ha più visto o sentito Charlotte Rampling, al cui perverso look si dovè parte del successo di «Portiere di notte»?
«Non ho più contatti con lei. Ma a proposito di Portiere di notte non riesco a scordare un sopralluogo fatto a Vienna prima di girare il film. Cercavo una terrazza sui tetti di Santo Stefano e la proprietaria d’una casa, con la vista giusta, aveva un candelabro a sette braccia. Lo teneva in una vetrina e le chiesi se fosse ebrea. Piccata, mi rispose che suo padre aveva comprato quell’appartamento a prezzo stracciato nel 1938. “È stato furbo”, aggiunse. Io e il mio scenografo ci guardammo negli occhi, impietriti».
Però Mickey Rourke tornerà a girare con lei, dopo il suo San Francesco laico... “Facciamo un film di sesso e di violenza”, dice «The Wrestler», “visto che la spiritualità non interessa più a nessuno”.
«Confermo: io e Rourke torneremo sul set in un film di respiro internazionale. Però prima dobbiamo reperire i fondi. Ho una lista di progetti così lunga che mi servirebbe un’altra vita. Mickey continua a sostenere che io guardo a lui in modo nuovo, come nessuno lo vede».
Sta scrivendo e dirigerà per Rai Fiction la serie tv «Prostitute», produttrice Claudia Mori. Un’altra indagine sulla dilagante violenza nei confronti del mondo femminile?
«Purtroppo in Italia c’è una violenza sulle donne che immobilizza il Paese agli anni Cinquanta... Io vengo da una regione dove le operaie hanno fatto la Resistenza e hanno ottenuto rispetto da sole. Ma è giusto ora parlare del traffico umano dall’Est: firmo due episodi mentre Margarethe von Trotta e Marco Pontecorvo gli altri quattro. Ci voleva anche uno sguardo maschile sulla prostituzione».
Eppure in Italia c’è la legge anti stalking: davvero siamo ancora indietro, nella tutela delle donne?
«Per diritto costituzionale dovremmo
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