Quel che più lo fa soffrire è la morte dell’azienda di famiglia, la Sparaco Spartaco spa. «Vede, Woodocock - racconta Luigi Sparaco - avrebbe pure potuto convocarmi a Potenza e farmi tutte le domande che riteneva opportune, poi se non gli avessi risposto, avrebbe fatto bene ad arrestarmi. Invece, in cinque minuti mi sono trovato in manette senza sapere nemmeno perché e la società, sballottata di qua e di là, non ha retto. Fatturavamo cento milioni l’anno,ora ci sono solo macerie.Il danno provocato da questa inchiesta è irrecuperabile». Luigi Sparaco è un ingegnere di 68 anni e in pace con se stesso: «Ormai non lavoro più, ma quando ripenso al passato mi viene un groppo in gola. Tutto distrutto senzaalcuna ragione e senza che nessuno mi abbia mai chiesto scusa».
Perché Henry John Woodcock chiese il suo arresto al gip di Potenza?
«C’era un’indagine in corso sulle tangenti all’Inail. Un tizio, inquisito a sua volta, aveva detto, forse per ingraziarsi il Pm, che io avevo regalato un appartamento al direttore generale dell’Inail Alberigo Ricciotti».
Un’accusa grave.
«Sì, ma quando Woodcock gli aveva chiesto di circostanziare l’episodio, lui aveva spiegato di non saperne nulla. Era una voce che aveva raccolto da qualche parte, e se permette, tutta da verificare. Astratta. Vuota come una cornice senza quadro».
Quando fu ammanettato?
«Era il 2 luglio 2002. Bussarono alla porta, in cinque minuti finii in manette e mi ritrovai a Regina Coeli, poi a Potenza».
Un’esperienza drammatica?
«Il carcere non mi ha turbato, anche se ci sono stato venti giorni, più due mesi agli arresti domiciliari. Il problema è il resto».
A che cosa si riferisce?
«Penso alle conseguenze. Il giorno dopo il mio arresto tutti i giornali italiani hanno scritto articoli su articoli definendomi un corruttore, un imprenditore amico degli amici, uno che gonfiava i prezzi, una sanguisuga della pubblica amministrazione.Non c’eralimite alle calunnie, innescate da quell’arresto senza fondamenta e due giorni dopo è stato ancora così e tre giorni dopo pure. Io ero in cella impotente, intanto la società andava a rotoli».
Non c’era solo lei sul ponte di comando della Sparaco Spartaco.
«Eh no. Woodcock ha fatto commissariare la società e in più ha ottenuto che noi non potessimo più lavorare con la pubblica amministrazione per un anno. In sostanza, ci ha condannato a morte».
In concreto che cosa è accaduto?
«Noi avevamo appena finito di costruire l’ospedale di Orbetello, un contratto da 35 milioni di euro, e l’Inail ha deciso di non pagare. O di pagare solo in parte, con grande calma. Contemporaneamente l’Inail ha fatto saltare il contratto che avevamo a Legnano e si è tenuta anche il terreno. Non c’era alcuna possibilità di fermare questi veleni che circolavano ovunque. Il commissario faceva quel che poteva, senza conoscere bene la nostra situazione. A me piangeva il cuore perché la società fondata da papà qui a Roma nel 1940 aveva un curriculum di tutto rispetto: siamo stati noi a costruire gli uffici giudiziari di piazzale Clodio a Roma, noi a realizzare l’ospedale civile di Ancona, la Biblioteca nazionale di Roma, il porto turistico di Marina di Grosseto. E potrei proseguire. Tutto spazzato via».
Lei si sarà difeso.
«Ci ho provato. Ma la strada era in salita. Consideri che appena arrivato a Regina Coeli ho trovato proprio Ricciotti che mi ha urlato: “Ma lei è pazzo, perché inventa queste menzogne?”».
Aveva ragione?
«Ma no, gliel’ho già detto: era stato un mio subappaltatore a riferire la voce secondo cui io avrei regalato la casa a Ricciotti».
Woodcock?
«Pure lui mi ha chiesto: “Ma dov’è questo appartamento?“»
E lei?
«Gli ho risposto nell’unico modo possibile: “Guardi che un appartamento non è un pacchetto che si mette in tasca e si porta a casa. Io non ho regalato niente a nessuno. E questo Ricciotti non lo conosco, non l’ho mai visto, non so chi sia”».
L’ha convinto?
«Ma no. Il pm è rimasto della sua idea. Poi però Woodcock ha spedito le carte a Roma perché si è scoperto che la competenza non era sua».
E a Roma?
«Si è celebrato un processo. Lento. Lentissimo, ma utile. Una perizia dopo l’altra si è stabilito che io non gonfiavo proprio niente. Altro che ricarichi del 20 o del 30 per cento. I margini erano strettissimi, risicatissimi».
E l’appartamento?
«Non c’era, gliel’ho già detto. Non c’era un bonifico, non c’era una telefonata fra me e questo Ricciotti. Non c’era niente. Non voglio dire che l’inchiesta sia stata solo un polverone, no quello no. Alcuni funzionari dell’Inail hanno patteggiato, come anche un mio supappaltatore, e hanno restituito dei soldi, ma io non c’entravo per niente».
Alla fine lei è stato assolto.
«Dopo sette anni. Quando ormai era troppo tardi. Il sipario è sceso sulla Sparaco Spartaco sotto forma di concordato preventivo. Centinaia, dico centinaia di dipendenti e di fornitori hanno perso il lavoro. Una tragedia e una storia imprenditoriale di successo bruciata sull’altare della frenesia investigativa. Sarebbe stato sufficiente un pizzico di prudenza in più. La procura generale non ha fatto ricorso e la sentenza è diventata definitiva, ma ormai l’impresa non c’era più. Di fatto è stato un verdetto postumo, anche se ero e sono ancora vivo».
Quanto le hanno dato come risarcimento?
«Lo Stato ha fatto i suoi calcoli e poi mi ha dato un
E per il resto?
«Per il restoniente. Un’impresa con sessanta anni di storia è stata rasa al suolo. Ma questo non interessa a nessuno».
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