Roy Paci: "Zelig è un premio ma non farò solo la spalla"

Il suo hit "Toda joia, toda beleza" sarà la sigla dello show televisivo di Canale 5. Il trombettista racconta la sua storia tra provocazione e jazz: suonerò con Tom Waits

Roy Paci: "Zelig è un premio ma non farò solo la spalla"

Milano - Suona la tromba con l’energia di chi sta guidando una carica del settimo cavalleggeri, è istrione e provocatore, talentuoso e vulcanico, personaggio e al tempo stesso antidivo. È ovvio che Roy Paci - con i suoi Aretuska - sarebbe arrivato in alto. Mescolando jazz, swing, ska folk di tutte le latitudini (la cosiddetta «patchanka») ha conquistato mezzo mondo e il singolo Toda Joia Toda Beleza è uno dei megatormentoni dell’estate. Tanto che ora diventerà sigla di Zelig, lo show in cui Paci acquista un ruolo sempre più carismatico. «Nella nuova stagione sarò direttore musicale della trasmissione - racconta col suo inconfondibile accento siculo - duetterò con Bisio e la Incontrada ma sia chiaro che io e gli Aretuska non siamo la band di spalla di nessuno. Stiamo arrangiando una serie di belle canzoni anni ’50-’60 da suonare alla nostra maniera».

Molti musicisti in tv perdono la strada.
«Accade a quelli che sono insicuri e non sanno bene cosa voglion fare nella vita. A noi non può accadere, viviamo per i concerti, e siamo conosciuti in tutta Europa per questo, anche al Festival di Glastonbury dove ci sono centinaia di gruppi rock. Per noi il 70 per cento dei programmi tv si potrebbe tranquillamente eliminare. Ci siamo fatti coinvolgere da Zelig perché non snatura la nostra essenza. E poi come si fa a dire di no ad artisti giganteschi come Gino & Michele, Bisio».

Prima è andato da Chiambretti.
«Anche lui è ironico, giocoso, provocatorio come me».

In lei c’è un misto di Louis Jordan e Carosone.
«Sì, sono i miei miti, il jazz swingante e gli atteggiamenti clowneschi di Jordan e la modernità unita alla tradizione di Carosone. Un’altra influenza fondamentale è quella di papà, che ad Augusta e dintorni suonava sax tenore e tromba in un’orchestra che ci dava dentro con twist, limbo, geghegè. Sono nato nella banda del paese ma poi sono scappato in Sudamerica».

Non deve essere stato facile in Sicilia.
«Nei primi anni Ottanta in paese pensavano fossi un drogato o un alcolizzato; ora che sono noto mi chiamano il “maestro eccentrico”, ma io sono molto legato alla mia terra».

Una delle vostre gag è il look modello mafioso.
«È un gioco, una provocazione per dire che noi siamo la “mafia” contro ogni tipo di mafia».

Poi avete arricchito il jazz con suoni coloriti e sudamericani.
«Grazie all’incontro con Manu Chao con cui lavoriamo da 8 anni. È un maestro di vita perché ha insegnato a tutti come l’artista debba essere onesto, umile e antistar. Se non fossi così smetterei di stare nel mondo dello spettacolo».

Così giocando su suoni allegri e testo impegnato Toda joia toda beleza è diventato uno dei tormentoni dell’estate.
«Già, noi siamo giocherelloni, amiamo divertirci ma anche provocare. I nostri brani mostrano le cose viste da un punto di vista differente. Certo in Toda joia la gente bada soprattutto alla solarità del ritmo, ma speriamo che a qualcuno arrivi anche il senso delle parole, piuttosto crude, di Manu Chao».

Se si apre il suo sito si vede una figura che suona un melanconico assolo di tromba in una strada buia davanti al Trinacria Club...
«È il mio simbolo, il mio Notturno ionico in una imprecisata strada tra New York e la Sicilia».

Nel vostro cd SuoNoGlobal ci sono Negrita, Caparezza

ecc. con chi le piacerebbe lavorare?
«Il sogno è quello di incrociare le strade del nostro sud con quelle maledette di Tom Waits. Abbiamo dei contatti e speriamo di realizzare qualcosa insieme molto presto».

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